Think Tank Reformists ritiene utile pubblicare, integralmente, il profondo discorso tenuto da Matteo Renzi, martedì 7marzo al Senato, in risposta all’informativa del ministro dell’Interno.
Mai i difficili temi dell’immigrazione sono stati trattati
con profondità, rispetto ed umanità nell’aula del Senato e in Europa, come in
questa occasione.
Questi sono i pilastri su cui erigere il nuovo Partito Liberaldemocratico.
Il discorso di Matteo Renzi
Signor presidente, signor ministro dell’Interno, onorevoli
colleghi, siamo stati invitati da lei, presidente, a una discussione seria,
perché ci sono due modi di vivere questo nostro dibattito:
il primo è trasformare l’arena parlamentare in uno stadio, in
cui le curve si esaltano e ci insultiamo;
il secondo è cercare di riaffermare le ragioni della politica
e dell’ascolto altrui, sapendo che la politica è complessità e che, quando si
entra, nel merito della politica, nel mondo dell’immigrazione, si corre il
rischio di perdere il consenso.
È un rischio però che si corre volentieri, se l’alternativa è perdere la dignità.
Io trovo che ci sia bisogno di partire da un dato di fatto:
nessuno qui si permetta di dire agli altri che si fa sciacallaggio.
Nessuno si può permettere in quest’Aula di dirlo, lo dico
innanzitutto ai colleghi della maggioranza.
Dopo la strage dell’aprile del 2015 nel Canale di Sicilia l’onorevole Giorgia Meloni chiese che venissi indagato per strage di stato: è un atto di sciacallaggio o no, questo?
Qui nessuno ha chiesto di indagare il
governo; si è chiesto al governo di indagare su quello che è successo.
E non si dica, amici e colleghi della Lega, che non si
possono chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno: io non l’ho fatto e
non lo farò, ma, quando ero capo del governo, il senatore Salvini, che
allora era membro del Parlamento europeo, chiese 137 volte in tre anni le
dimissioni del ministro Alfano.
Qualsiasi cosa accadesse, c’era la richiesta precompilata di dimissioni.
Lo dico anche ad altre forze politiche, perché ha ragione
Piantedosi quando dice che non era lui il ministro dell’Interno quando si sono
riscritte le regole e che non era questo il governo.
Sì, lei era il capo di Gabinetto del ministro dell’interno Salvini e il presidente del Consiglio era quel Giuseppe Conte che si faceva ritrarre con il cartello “decreto Salvini” e che ha cambiato le regole della Guardia costiera e del soccorso in mare. Allora, se volete parlare di sciacallaggio, qui dentro, fatevi prima un esame di coscienza e poi ragioniamo.
Io non voglio parlare di questo; voglio parlare di
politica e ci sono tre punti sui quali lei non mi ha convinto, signor ministro,
e glielo dico con la stima che ella conosce e con il rispetto che ho per la sua
sincera passione democratica e anche per il suo curriculum di servitore delle
istituzioni.
Lei su tre punti oggi non mi ha convinto per niente.
Il primo punto è che, se esce la Guardia di finanza per un’operazione di polizia, alla luce della quale deve poi tornare indietro, perché c’è il mare alto, non capisco per quale motivo (non la telefonata al 112, non Frontex, non l’universo mondo) non parta la Guardia costiera per andare a salvare le vite umane. Questo lei non l’ha spiegato oggi. Questo non vuol dire dare la colpa alla destra, alla sinistra o al decreto ong, ma è un dato di fatto. Su questo punto bisogna avere chiarezza: se la Guardia di finanza esce e poi rientra, perché il mare è alto, non si capisce perché non parta la Guardia costiera; questo è l’unico punto su cui non si è detto niente.
Il secondo punto, signor ministro, è il tono: glielo
dico con il rispetto che si deve alla sua persona, al Viminale e alle donne
agli uomini che vi lavorano.
Non voglio parlare di tono baldanzoso, ma qui ci sono 72
morti e quelle bare bianche, piccoline...
Dico semplicemente che trasformare questa relazione in una
lista di cose più o meno accadute e il dibattito in un attacco sullo
sciacallaggio, finendo addirittura per discutere del congresso del Pd, che
discorso è? Ci sono 72 morti!
Meno male che Sergio Mattarella, il nostro presidente della Repubblica, ha voluto dare un segnale di unità del paese in silenzio, andando di fronte alle bare in silenzio.
Si tratta di donne e uomini - questo è il terzo punto,
signor ministro - che vengono via dall’Afghanistan.
Lo dico alle colleghe mamme del centrodestra, ma lo dico
ovviamente a tutti noi: come si fa a dire che i genitori non devono metterli su
una barca?
Guardate che in Afghanistan stanno in quelle condizioni per colpa anche nostra, dell’occidente, diciamola tutta, e per colpa anche della nostra Alleanza occidentale: siamo venuti via, lasciando a quelle giovani donne, che avevano conosciuto la libertà, l’obbligo di stare rinchiuse dentro un burqa, senza la possibilità di andare a scuola o all’università.
Ve lo dico,
mamme del centrodestra: se una vuole scappare dall’Afghanistan, scappa
dall’Afghanistan.
Non si può venire a dire che non deve scappare.
È vero che hanno i telefonini, i giovani afghani, certo che
ce l’hanno, come i giovani pakistani, ma non è che nei telefonini vadano a
guardare il sito www.viminale.it per leggere l’appello: nei telefonini vedono
libertà che li attrae, perché è quella di un mondo che nei loro paesi non
conoscono più.
Occorrono allora sensibilità e umanità, che oggi non ho
trovato.
Ministro, una grande poetessa, Alda Merini, diceva una frase
che mi permetto sommessamente di suggerirle per il futuro: “Mi piace chi
sceglie con cura le parole da non dire”.
In un tempo in cui siamo pieni di influencer, faccia il ministro, faccia il prefetto, faccia quello che sa fare, ma eviti la gara alla dichiarazione, perché, come minimo, è infelice.
Vengo al punto politico: c’è o non c’è una questione europea?
Sì che c’è. È stata la Meloni la prima a porla? Non è vero,
ma, se volete, ve la diamo la primazia, non è un problema.
Oggi presidente del Consiglio è la Meloni e io faccio il tifo
perché al Consiglio europeo la Meloni vinca, perché, se vince lei, vince
l’Italia.
Non è vero che è stato quello il primo momento, andate a
vedere i documenti del 2014 e del 2015.
L’operazione Mare nostrum è finita perché è iniziata
l’operazione Sofia, che prende il nome della prima bambina salvata dagli
italiani, a guida italiana, ma con gli europei, ma mi sta bene che sia stata la
Meloni la prima a dirlo, non ho problemi.
Quello che dico, signor presidente, è che, se questo è, il
problema europeo si risolve andando a fare gli accordi in Europa: i principali
avversari sono i paesi di Visegrad, sono i paesi sovranisti e i paesi che
vogliono mettere il blocco, questo è il problema.
Abbiamo una questione enorme, che è quella dell’immigrazione,
su cui bisognerebbe evitare il coro dei tifosi e degli ultras.
Bisognerebbe dire: servono o no gli elementi di umanità? Certo, ma serve anche un dato di
fatto oggettivo: le nostre aziende ci dicono che siamo in debito e quindi
abbiamo bisogno dei migranti, ma bisogna andarli a prendere in modo legale,
certo, e formarli.
Abbiamo scoperto che i trafficanti sono cattivi, ma è
evidente, questo lo sapevamo già prima.
Abbiamo capito che dobbiamo dire a chi viene a studiare in Italia e si diploma e si laurea nel nostro paese che dargli la cittadinanza non equivale a dargli dei diritti (quelli ce li ha già), ma a dargli dei doveri, come ci insegna il diritto romano, che è una cosa bellissima, grande e importante.
Su questi temi ragioniamo e discutiamo, ma il punto finale è
che questa discussione si può fare se si ritorna a riconoscersi parte di
istituzioni che sanno dialogare e questo inizio del dibattito da parte del
centrodestra non ci ha aiutati in tale direzione.
Vi pongo un tema, ve lo dico con il gusto non della
provocazione, ma della sfida intellettuale.
C’è un punto in più che affido ai colleghi della destra per
il suo tramite, signor presidente: in questi dieci anni si è consolidato il principio
che l’identità nazionale si affermi attraverso il respingimento, attraverso
muri.
Si è affermato - non solo in Italia, a dire il vero, perché
il tema è ampio e va dagli Stati Uniti a tante altre parti del mondo - che
l’identità nazionale significa difendere i confini, alzare i muri e garantire
la sicurezza dei porti.
Io non condivido questa analisi. Ovviamente, vale quello che vale,
ma vorrei che ascoltaste quello che abbiamo da dirvi.
L’identità nazionale italiana non la descrive un decreto,
chiunque lo firmi.
L’identità nazionale italiana - da Virgilio, che immagina la fondazione di Roma attraverso un popolo di naufraghi, fino a quel pescatore di Cutro al quale dovremmo tutti inchinarci, perché non ha dormito la notte per andare a recuperare i corpicini dei piccoli naufraghi - è quella di chi salva le vite, non di chi difende i respingimenti.
Concludo, signor presidente, facendo un riferimento che - se
non vogliamo parlare di ong, sulle quali, com’è noto, ho un’opinione diversa
dalla maggioranza - è legato alla vostra tradizione culturale, che poi non è
nemmeno vostra, ma di tutti, e a un uomo che ha combattuto con il fascismo, non
contro di esso.
Signor presidente, voglio che quest’Assemblea ricordi la
figura del comandante Todaro, nato in Sicilia, cresciuto a Chioggia, diplomato
all’Accademia di Livorno, che lavorava per la Regia Marina sotto i comandi
del duce.
Questa figura è quella di un eroe nazionale e mondiale,
perché in tutti i momenti difficili della storia italiana ha sempre fatto prevalere
le ragioni dell’umanità e il 16 ottobre 1940, quando la sua imbarcazione
distrugge il piroscafo belga, prende i 26 naufraghi, li mette prima su una
zattera, poi a bordo e li salva.
Ecco chi incarna l’identità italiana, non un decreto.
Il comandante Todaro è quello che, quando i nazisti lo
vogliono in qualche modo moralmente processare e un collega gli dice che non è
il Don Chisciotte del mare, che quella è la guerra e che non è il buon
samaritano, lui gli risponde che avverte il peso di duemila anni di civiltà.
Ebbene, ministro Piantedosi, su quella sedia ci sono
duemila anni di civiltà, siate all’altezza dell’identità nazionale, che prevede
che in mare si salvino le vittime e non si faccia quello che si è fatto a
Cutro.
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