mercoledì 1 marzo 2023

In politica come nella vita: saper prendere i treni quando passano del Prof. Paolo Razzuoli

Del terremoto che ha scosso il Pd già tanto si è detto e tanto si è scritto. 

Il rischio di dire cose già sentite o lette è pertanto altissimo: sicuramente incorrerò in questo infortunio; i lettori vorranno gentilmente scusarmi.

Metterò alcuni temi nero su bianco, seguendo due direttrici. 

La prima, per me meno interessante giacché non sono, e mai sono stato, iscritto al Pd, è una noticina sul meccanismo elettorale che ha portato alla vittoria di Elly Schlein. 

La seconda direttrice, molto importante per il panorama politico nazionale, è quella di quali potranno essere le conseguenze di questa scelta sugli equilibri politici complessivi del Paese.

Parto dal meccanismo di elezione del nuovo segretario. Se qualcuno mi avesse detto che un giorno ci sarebbe stato un partito che eleggeva il suo segretario in due turni, uno riservato agli iscritti ed il secondo riservato a chiunque, e che il secondo avrebbe prevalso sul primo di fatto vanificandolo, io gli avrei risposto o che aveva capito male, oppure che mi stava prendendo per i fondelli.

E invece questo partito la cui storia è punteggiata di paradossi (questo è infatti solo l'ultimo di una lunga serie), è riuscito anche ad inverare ciò che mai avrei potuto ritenere possibile. 

Ovvero la vanificazione della volontà degli iscritti, quindi quelli che pagano la tessera e che ci mettono la faccia, in favore di votazioni "aperte", a cui sono ammessi tutti, quindi anche non iscritti e, perché no, anche non elettori (mi è stato riferito di varie persone di altre forze politiche che si sono recate ai gazebi con l'intento di creare scompiglio).

Penso che la vicenda non richieda ulteriori indugi. Ciascuno tragga le proprie conclusioni.

Ed ora vengo alla politica, il crinale ovviamente più interessante.

L'elezione della Schlein rappresenta sicuramente un cambio di rotta. Una scelta di campo ben definita che dovrebbe tradursi in un chiarimento dell'identità del partito, quindi sciogliendo l'ambiguità che ne ha contraddistinto la funzione sin dalla sua gestazione. 

La scelta è in favore di una traiettoria politica che non sembra lasciare credibili spazi ad una impostazione di tipo liberal-riformista. 

Insomma, i riformisti sono messi all'angolo, ed il Pd, salvo marce indietro, sembra incamminarsi sui lidi delle battaglie più identitarie della sinistra. 

Una scelta di campo che lo conduce verso approdi distanti dal progetto a vocazione maggioritaria e riformista del Lingotto 2008 e della intuizione di Veltroni.

Un campo in cui sembrano riprendere vigore le connotazioni più classiche di una sinistra movimentista e radical-chic, incline alla esasperazione in chiave ideologica di temi di per sè di grande significato, ma che diventano una sorta di dannazione quando si trasformano in feticci ideologici.

Insomma, i vari "ismi", che tramite le loro rigidezze ed esasperazioni diventano mantra buoni solo per suscitare reazioni avverse. 

E così il tema della pace diventa "ambiguo pacifismo", l'attenzione ai problemi sociali viene declinato come "demagogico egualitarismo", la necessaria attenzione ai cambiamenti climatici diventa "impraticabile ambientalismo", la doverosa attenzione ai problemi del terzo mondo diventa "moralistico terzo mondismo", la doverosa attenzione alla parità di genere diventa "esasperato femminismo" e via dicendo.

Un ambito politico-culturale in cui non si capisce quale funzione possano avere i rappresentanti di una visione liberal-riformista. 

Corrente questa certo presente nel Pd, e che si troverà chiamata ad una scelta impegnativa: provare a ribaltare la situazione con il tempo che sarà necessario, oppure prendere atto della svolta ed immaginare altri percorsi.

Vedremo; intanto qualcuno ha già abbandonato, come ad esempio Giuseppe Fioroni che è stato un attore non certo di seconda fila al momento della nascita del Pd.

La svolta sui temi più identitari della sinistra, mette oggettivamente il Pd in sintonia con il populismo pentastellato, rendendo in qualche modo i due elettorati sovrapponibili. 

Tema questo che non dovrebbe far dormire "sonni tranquilli" a Giuseppe Conte, posto che il Pd ha una ben più consistente organizzazione, ancoraggio con i gangli della società civile, presenza territoriale e ben superiore qualità del personale politico.

Dicevo delle conseguenze che la virata Schlein potrà avere sul panorama politico nazionale. 

Il tema riguarda soprattutto il ruolo della componente riformista del Pd, oggi messa all'angolo. 

Infatti la scelta del nuovo segretario si presenta a tutti gli effetti quale atto definitivo della derenzizzazione del Pd.

Appare quindi deltutto logico porsi il tema di come questa componente si atteggerà di fronte alla sconfessione di tutto ciò che la stagione riformista ha realizzato. 

Ed il tema non riguarda solo la politica interna, investendo altresì la politica internazionale che, almeno sino a qualche decennio fa, era il pilastro insostituibile della coesione di qualsiasi partito e/o coalizione.

Se da un lato lo spostamento del Pd sulle tradizionali posizioni identitarie della sinistra radical-chic ne precisa l'identità, dall'altro rende ancor più necessario ed urgente l'aggregazione delle componenti liberal-riformiste, se ambiscono ad avere uno spazio ed un ruolo nelle grandi scelte a cui il Paese è chiamato.

Un'aggregazione che anzitutto si precisi attorno ad una piattaforma contenutistica chiaramente leggibile, che dia quindi concretezza ad idee che restano astratti slogan se non vengono dettagliati in definite scelte politiche.

Evocare il "campo riformista" significa ben poco se agli elettori non si indica quali riforme si intendono fare e per quali obiettivi si propongono. 

Di per sè le riforme non sono né buone né cattive; dipende quali si vogliono attuare, al raggiungimento di quali obiettivi sono finalizzate, e se risultano coerenti con gli obiettivi prefissati.

Non è un compito facile ma è ora il momento in cui, se una cultura liberal-riformista esiste in Italia, è chiamata "a fare i compiti".

Credo infatti che solo se questa cultura dimostrerà veramente di esserci, potrà proporsi con la necessaria attrattività per quelle forze riformiste che oggi sono state messe all'angolo da un Pd che ha scelto un'altra traiettoria.

Certamente a questa consapevolezza ed assunzione di responsabilità sono anzitutto chiamati coloro che in questi mesi hanno cercato di dare rappresentanza politica alla cultura liberal-riformista. 

Carlo Calenda e Matteo Renzi, che hanno guidato questo processo, dovranno compiere il passo decisivo per dar vita al nuovo soggetto, mettendo da parte cautele e soprattutto ambizioni personali - anche se legittime - quando ciò si renda necessario. 

Ma come già in altre occasioni ho avuto modo di dire, la spinta dovrà partire anche dal basso, giacché credo che sia l'intera galassia dei soggetti culturali, politici e sociali che a quell'impostazione si richiamano, a doversi mobilitare per farne sentire la forza e la presenza nella società italiana; penso alle numerose fondazioni, ai vari centri culturali, alle associazioni, ai think tank ecc..

Una testimonianza di vivacità che faccia sentire direi "sulla carne" che il sogno di una rappresentanza della cultura liberal-riformista non è un vaneggiamento di pochi, bensì il forte bisogno di una società che finalmente prende coscienza della illusorietà delle demagogie e dei populismi.

Inoltre, anche se purtroppo la storia non insegna niente a nessuno, sarebbe meglio non ignorarla troppo. 

Quando nella sinistra prevalgono le posizioni più radicali, come reazione chi se ne avvantaggia è la destra; così è sempre accaduto. Ebbene, di favorire questa destra non se ne avverte certo il bisogno.

E' quindi il momento di agire e subito; la scelta di campo del Pd su posizioni fortemente identitarie di sinistra, può essere un fattore di chiarimento favorevole per la riaggregazione di forze interessate ad un grande progetto che sappia ricondurre a sintesi le istanze della giustizia sociale con quelle della produttività, della modernizzazione e della competitività. Purché si abbia la lungimiranza, il coraggio e l'intelligenza di costruirlo.

Cogliere il momento giusto è anzitutto un fatto di intelligenza e di coraggio.

In politica, come delresto anche nella vita, bisogna "saper prendere i treni quando passano"!

Lucca, 28 febbraio 2023



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