domenica 18 giugno 2023

TTR: Liberali Democratici Europei.

 Alcuni mesi fa ci siamo iscritti ai Liberali Democratici Europei ed abbiamo aderito come Riformisti Toscani. 

Abbiamo realizzato un Blog  culturale "Think Tank Reformists" che ha lo stesso programma dei Libdem, ovviamente siamo dei nanerottoli al loro confronto ma pensiamo che ogni rivolo porta acqua al mare.

Vediamo in questa Associazione una conferma autorevole che un mondo "di centro" democratico, liberale, vuole la nascita di un grande nuovo Partito Riformista al centro dello schieramento politico Italiano e Europeo che guardi a destra e sinistra in maniera ugualemente alternativa.

Le differenze e i possibii accordi non sono più di schieramento o ideologici ma legati alle persone e ai programmi.

La sopresa positiva ovviamente è che ci siamo trovati Andrea Marcucci, autorevole Presidente...avevamo accolto con entusiamo la sua adesione a Libdem...dopo l'uscita dal PD...ora plaudiamo al suo impegno in prima persona.

Molto lavoro attende tutti noi che crediamo indispensabile arrivare prima ad una Federazione, poi allla Lista unitaria per le elezioni Europee ed infine ad un Partito unitario, riformista, liberale, di centro.

Noi ci crediamo e ci impegnamo tutti i giorni per questo.

Pubblichiamo ora la news letter che i Liberali Democratici Europei hanno edito dopo la loro Assemblea di questi giorni a Bologna.

Newsletter Libdem n. 14

venerdì 16 giugno 2023

TTR: Il partito di cui l’Italia ha bisogno: alcune idee non richieste - ma spero gradite - offerte a Italia viva da Paolo Razzuoli

Think Tank prosegue nel pubblicare nel suo Blog gli interventi propedeutici al prossimo dibattito congressuale di Italia Viva.

Pubblichiamo l'intervento del Prof. Paolo Razzuoli sulla Assemblea di Napoli di Italia Viva.

Ho seguito in streaming l’assemblea di Italia Viva tenutasi a Napoli il giorno 10 giugno scorso.

Il dato più significativo emerso dall’assise, direi che è la decisione di avviare la fase congressuale per la costruzione di un partito vero. Ovviamente non posso che plaudire a questa scelta, posto che la ricostruzione di partiti veri è stata tante volte da me sottolineata – ed in verità anche da molti altri - come strada maestra per il rilancio della politica.    

Ovviamente il contenitore “partito” va riempito con contenuti politici chiari, e sul punto gli interventi ascoltati nell’incontro partenopeo mi sono sembrati assai vaghi.

Molti si sono focalizzati sulla vocazione “riformista” dell’auspicato nascente partito, ma il “riformismo”, che è certo una tradizione ed una prassi politica, va riempito con contenuti chiari e ben aderenti alle sfide della contemporaneità. In caso contrario si cade nella retorica o nell’evanescenza.    

E su tale versante mi pare che la strada da percorrere sia assai lunga ed ardua, e che non sia poi così agevole comporre in un disegno sintetico ed unitario le varie sensibilità coinvolte – o coinvolgibili - nel progetto.

Ma ho sentito tanta passione e questo è un buon viatico.

Il grande HEGEL ci dice:

  “Niente di grande è stato fatto al mondo senza il contributo della

passione”.

 Ci sono poi alcune scelte che non riesco a capire quale, ad esempio, il “sindaco d’Italia”; qualcuno a fatto sentire la sua contrarietà anche nell’incontro.

Sul punto richiamo gli articoli recentemente pubblicati su questo sito.

Poi c’è il tema della legge elettorale; per ragioni tante volte richiamate, lo spazio politico di una forza alternativa al bipopulismo di destra e di sinistra è legato ad un sistema elettorale proporzionale che possa assegnargli uno spazio di interlocuzione e mediazione politico-parlamentare. Non capisco il silenzio su questo fondamentale aspetto.    

  Il tema dell’assise è stato: “365 giorni all’alba,in vista delle elezioni europee 2024”, con la mente ed il cuore rivolti quindi al 9 giugno 2024, data delle prossime elezioni europee.

Quindi si gira la clessidra e parte il percorso di avvicinamento a quella data simbolo, che dovrà trovare il partito attrezzato per affrontarla, non solo nella dimensione organizzativa ma, credo ancor più, nella sfera dell’elaborazione dei contenuti politici. A quest’ultimo proposito, è facile immaginare che la scomparsa di Silvio Berlusconi metta in moto un rimescolamento di carte, non solo nel centrodestra. E’ altamente probabile che si sgretoli ciò che è rimasto di Forza Italia, e apertissima è la partita di chi riuscirà ad ereditarne, forse meglio dire intercettarne, l’elettorato. Una opportunità per Italia Viva, purché venga definito senza ambiguità il suo profilo liberal-riformista. Dovrà essere un profilo chiaro e coraggioso; un profilo che marchi l’originalità della proposta, senza annacquamenti che possano farne una copia di altre. L’esperienza insegna: fra le copie e gli originali, l’elettorato sceglie gli originali.

Renzi ha parlato di un risultato a due cifre: un obiettivo ambizioso ma, forse, non impossibile se si traccerà un percorso chiaro sia in termini di organizzazione che di contenuto politico.

In questi anni questo percorso non è stato certo lineare, anzi è stato deludente, e non è detto che nei prossimi mesi non si inceppi. Qualche segnale in questa direzione non si è fatto attendere; la nomina di un coordinatore nazionale ad assemblea terminata non è certo un buon segno, così come appare poco comprensibile che si vogliano eleggere nella fase congressuale gli organi territoriali, rimandando a dopo le europee l’elezione di quelli nazionali. Ho visto che anche autorevoli esponenti di IV hanno espresso simili perplessità, e sono lieto di trovarmi in loro compagnia.     

Nel febbraio del 2020 si tenne un’assemblea a Roma alla quale partecipai, proponendo un intervento che, a distanza di 3 anni, mantiene purtroppo tutta la sua attualità: non certo un buon segno, che attesta che niente è cambiato da allora rispetto alle grandi vere sfide della politica. E’ invece cambiato molto lo scenario; tanto per rinfrescarci un po’ la memoria, in quel febbraio 2020 Conte presiedeva il suo secondo governo, ed il Pd aveva quale segretario Nicola Zingaretti, che definì lo stesso Conte “riferimento fortissimo di tutti i progressisti”.   

   Proponendo il testo come mio contributo (ovviamente da indipendente) al percorso congressuale di Italia Viva, mi piace sottolinearne due elementi. Il primo è la necessità della costruzione di un vero partito, e ora sembrerebbe che ci siamo, salvo smentite. L’altro, sempre riconnesso con questo, è la necessità di costruire una forza strutturata e radicata ad una autentica visione politica, che sappia sopravvivere ai fondatori. Ebbene, Renzi nella replica, in un passaggio dedicato alla classe dirigente del futuro partito, ha detto “che sappiano rottamare anche noi”.

Insomma, a tre anni di distanza, sembrerebbe che le mie idee non fossero poi così peregrine.

Propongo il testo senza alcuna modifica. Mancano conseguentemente (ad esempio) riferimenti al PNRR, alla guerra in Ucraina, alla pandemia, alle recenti vicende del fenomeno immigratorio, a Calenda, a Giorgia Meloni ed al vigente scenario di governo e altri fatti attuali come il dibattito attorno al tema della cosiddetta “gestazione per altri”. Ma a parte vari passaggi legati allo specifico contesto di allora, mi pare che il testo dell’intervento politico e le proposte programmatiche allegate ancora conservino (ribadisco purtroppo), tutti i requisiti della più stringente attualità, quantomeno nel suo impianto complessivo.   

Offro ad Italia Viva queste idee perché solo in quello spazio politico-culturale possono rivelarsi utili per contribuire alla costruzione di un progetto politico.

Idee non richieste, ma spero comunque gradite. Se poi mi sarà richiesto, sarò ben lieto di confrontarmi su di esse e di attualizzarle.

(Intervento proposto all’Assemblea di Italia Viva – Roma, 1-2 febbraio 2020)

    Cari amici di Italia Viva,

    Per comprendere i tratti della vicenda politica nazionale sono indispensabili alcuni rapidissimi presupposti storici, quali strumenti indispensabili per interpretare le dinamiche del presente.

    Dal 1993, hanno del referendum che segnò la fine del sistema dei partiti che sino ad allora aveva contraddistinto la nostra storia repubblicana, sono sorti in Italia numerosi partiti e partitini, ma in massima parte si è trattato di forze leaderistiche, mancanti di radicamento territoriale e di procedure democratiche per la selezione della classe dirigente.

    Sono stati in buona sostanza strumenti legati alle esigenze personali del leader, che si è circondato di Yes-man, in una logica feudale legata all’obbedienza. Ciò ha contribuito a accentuare il processo di distacco dalla politica dell’opinione pubblica, peraltro già in atto anche per altre ragioni di indole più generale, contribuendo alla caduta di qualità della classe dirigente che è oggi sotto gli occhi di tutti.

    Credo quindi che il rilancio della politica non possa passare che attraverso partiti che sappiano darsi regole certe per l’individuazione dei contenuti a tutti i livelli, che sappiano darsi regole certe per la selezione della classe dirigente privilegiando il merito e non l’obbedienza, che sappiano nuovamente radicarsi al territorio, ovviamente avendo ben presenti le nuove frontiere della tecnologia e della comunicazione.

    E questo dovrà essere per Italia Viva un chiaro elemento di discontinuità col passato. Dovrà essere la prima sfida da vincere: quella cioè di creare un progetto politico con le carte in regola per sopravvivere a coloro che lo hanno fondato.    

    Il secondo ordine di problemi è quello della rappresentanza delle culture politiche e dei blocchi sociali.

Saltati ormai i tradizionali riferimenti novecenteschi, la difficoltà della politica è quella di riuscire ad interpretare le sfide del futuro, in un orizzonte che sappia rassicurare sul presente e, nello stesso tempo, riesca ad individuare un percorso prospettico.

    Direi che quattro sono le sfide che la politica non potrà più eludere: la globalizzazione, le migrazioni, la digitalizzazione, i cambiamenti climatici.

Temi su cui non servono vuote retoriche, bensì capacità di sintesi politica che, è inevitabile, comporterà anche problemi di consenso elettorale. Circostanza che induce più di qualche dubbio sulla capacità di affrontare i problemi in profondità, da parte di una classe politica che, direi fisiologicamente, è guidata dalla ricerca del consenso immediato; quella che in altre occasioni ho chiamata la “dittatura del presente”.

   Una complessità di scenari che sta portando, non solo in Italia, ad una radicalizzazione politica stimolata dalla difficoltà di guardare in avanti, rispetto alle quattro sfide che ho sopra indicate.

    Una difficoltà insomma che sembra privilegiare più il ripiegamento sul passato rispetto allo sforzo della ricerca di nuove frontiere politiche coerenti con la novità di un futuro che sembra incutere paura.

    Ed ecco che questo ritorno indietro si esprime in una radicalizzazione su posizioni nostalgiche, da un lato il sovranismo nazionalista, dall’altro il recupero di una ideologia legata a temi di una sinistra ormai definitivamente tramontata e sconfessata dalla storia.

   La dimensione di questo fenomeno, il cui tarlo sta anche corrodendo democrazie consolidate quali quella nord-americana e quella inglese, lo rende particolarmente inquietante.

In Italia vi è di più: ovvero l’assenza di rappresentanza politica di una importante componente equilibratrice del sistema politico, qual è quella liberal-democratica.

Componente di cui molti si sono serviti in questi decenni (vedi Forza Italia), ma l’abuso di riferimenti ad essa è sembrato più un omaggio ad una moda che non una consapevolezza politico-culturale e la ricerca di coerenza con essa nell’azione politica.

    Non è quindi casuale che da noi non sia mai veramente iniziata una vera stagione maggioritaria dell’alternanza, che presuppone una reciproca legittimazione, sotto queste latitudini mai avvenuta.  In Italia, terra di forti condizionamenti corporativi, il liberal-riformismo non ha trovato terreno particolarmente fertile. A parole nessuno ama definirsi conservatore, ma nella sostanza il conservatorismo è riuscito, sinora, a bloccare ogni serio tentativo riformatore (vedi referendum del 2016).

    Ma da allora gli scenari sono cambiati. Le spinte populiste, del resto da noi ampiamente presenti un po’ in ogni fase della nostra storia unitaria, hanno fatto un significativo balzo in avanti, giungendo al governo del Paese, e riducendo lo spazio politico di quelle componenti che, se pur con difficoltà, avevano in precedenza cercato di porsi in funzione equilibratrice del pur traballante sistema.

    Ma vi è dell’altro. Attualmente, assistiamo ad una “infezione” populista anche di una forza come il Pd che, al di là di come se ne valuti l’azione politica, aveva costituito un presidio della democrazia e delle istituzioni repubblicane.

   Almeno in teoria, anche analizzando in modo non fazioso il risultato delle recenti elezioni regionali, dovrebbe esserci una importante fetta di elettorato attualmente orfana di rappresentanza politica: orfana perché in Italia manca una forza capace di proporsi con un credibile disegno liberal-riformista; orfana poiché la radicalizzazione degli schieramenti politici ed il cedimento verso posizioni populiste dei partiti diciamo “tradizionali”, li rende incoerenti come sbocchi idonei ad incorporare i tratti di tale cultura politica.

  Naturalmente nell’azione politica i numeri sono della massima importanza; quindi si pone il tema delle alleanze. In questa fase non ritengo possibile andare oltre la considerazione che il faro della nostra azione penso debba essere la chiarezza programmatica, scavando solchi invalicabili con chi si muove su direttrici valoriali incompatibili, e cercando di allargare il campo il più possibile con coloro che condividono il nostro percorso.    

    Amici, ci troviamo qui per lanciare una nuova esperienza, quella di “Italia viva”, che speriamo possa prendere il largo, anche grazie alla guida di un profilo di grande esperienza politica qual è Matteo Renzi.

    Naturalmente, non volendo cedere a facili illusioni, dobbiamo essere consapevoli di interrogativi che il tempo si incaricherà di sciogliere:

- Italia Viva sarà in grado di creare un vero partito radicato sul territorio, con metodi trasparenti di selezione della classe dirigente, che privilegino il merito e non l’obbedienza?

- Italia Viva sarà in grado di assumere il profilo di un movimento che sappia valorizzare al meglio le potenzialità delle dimensioni locali quali laboratori di esperienze politiche originali, da intendersi anche quali banchi di prova capaci eventualmente di proiettarsi nella dimensione nazionale?

- Sarà in grado Italia Viva di superare i recinti degli immediati tatticismi in favore di scelte di ampio orizzonte, anche se in un primo momento dovessero tradursi in sacrifici di consensi?

- Sarà in grado Italia Viva di proporsi al Paese con un disegno riformista complessivo che agisca in profondità sui mali cronici del nostro sistema paese?

- In altre parole, Italia Viva troverà la forza di sapersi svincolare dalla “dittatura del presente”, in favore di una strategia che, mentre riesca a rassicurare sui timori dell’oggi, sappia far sognare per il domani?

      Sono sfide gigantesche, che richiedono coraggio, equilibrio, lungimiranza. Sono le sfide che segnano il confine fra i politicanti e gli statisti.

    De Gasperi diceva che la differenza fra un politico ed uno statista è che il politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni.

    Amici, in Italia, e non solo, c’è un grande bisogno di statisti, nel senso indicato da De Gasperi.

    E’ questa la sfida tremenda che siamo chiamati a combattere e, speriamo, a vincere.

    Una sfida che passa - anzitutto per una nuova capacità progettuale, che sappia immaginare un modello di Paese per i prossimi decenni.

    Per questo – raccogliendo peraltro lo spirito di questo nostro incontro, propongo alcune idee di un progetto di Paese che offro quale mio contributo al lavoro politico di questa nuova esperienza. Non potendo illustrarle in questo intervento per ragioni di tempo, consegno il testo alla presidenza dell’assemblea. 

    Machiavelli ci ammonisce che la fortuna va cavalcata con la virtù. Ebbene, non sappiamo se il tortuoso cammino della storia ci favorirà o meno. Sappiamo però che possiamo aiutarne gli esiti, con il nostro impegno e con la nostra capacità di lettura politica del tempo che viviamo.

Un impegno che deve anzitutto partire dalla consapevolezza che non siamo qui per delegare qualcuno, anche se abbiamo la fortuna di avere una guida forte, intelligente ed abile.

Ma siamo qui per assicurargli l’impegno di tutti, corale, robusto.

Anche perché in Italia dovrà affrontare qualche fatica supplementare: il grande Ennio Flaiano ebbe infatti a dire che “gli italiani sono disposti a perdonare tutto fuorché il talento”.   

        E’ questo il senso della nostra presenza a questa assemblea.

    Amici, buon lavoro e viva “Italia Viva”.

Allegato

Idee per un disegno riformista per l'Italia

Paolo Razzuoli

1.   Il Paese non potra' ritrovare una stagione di crescita, anzi non potra' nemmeno salvarsi, senza l'abbattimento del debito. Una zavorra gonfiata in decenni di scelte scellerate i cui costi sono stati progressivamente scaricati su figli e nipoti. La riduzione del debito non è obiettivo facile, giacché potrà essere ottenuta solo mediante scelte strutturali di grande impatto sul Paese, che solo una politica forte e credibile potrà compiere. Nella breve prospettiva, un po' di ossigeno potrà venire dallo sfruttamento del patrimonio pubblico, che potrà essere alienato stando però ben attenti di non svenderlo.

2.   L'assenza di lavoro e' la piu' drammatica emergenza del Paese. La riforma del mercato del lavoro varata dal Governo Renzi qualche effetto positivo sembrava averlo prodotto. Oggi stiamo attraversando una stagione controriformista anche nelle politiche del lavoro, e le conseguenze negative stanno emergendo, come anche i recenti dati Istat attestano. Ciò detto, sicuramente anche le riforme del Governo Renzi non bastano. Non si potranno creare nuovi posti di lavoro senza riduzioni significative del costo del lavoro ed in particolare del cuneo fiscale (anche se non solo, soprattutto per le imprese), unitamente ad una modernizzazione delle regole del sistema. Vanno ripensate le politiche attive del lavoro e gli ammortizzatori sociali, fra cui la Cassa Integrazione Guadagni che va riportata alla funzione originaria: quella cioè di sostegno al reddito per aziende momentaneamente in difficoltà, e non per sostenere situazioni decotte che mai potranno recuperare capacità produttive. Fondamentale è la tutela della dignità del lavoro attraverso:

1)   fissazione di parametri che evitino situazioni di sfruttamento incompatibili con la nostra civiltà;

2)   individuazione di strumenti repressivi rapidi, semplici ed efficaci, per combattere eventuali abusi. Va comunque ripensato il ruolo dei sindacati, riconducendolo nell’alveo di quanto indicato nell’Art.39 della Costituzione 

3.   Avvio di un vasto programma per l'occupazione femminile attuabile, al di la' delle varie retoriche sul tema, accrescendo sensibilmente le necessarie strutture sociali, in testa gli asili nido. Andra' poi disegnata una concreta politica per la famiglia, nel cui seno prevedere i coerenti sgravi fiscali.

4.   Una incisiva riforma pensionistica che, mentre deve garantire Pensioni decorose per tutti, non abbia timore nel contempo ad operare tagli più aggressivi alle pensioni d'oro (e ai troppi regali dello Stato).

5.   Poiche' l'Italia, coerentemente con la propria tradizione di attenzione ai diritti, deve garantire la sanità per tutti, non e' piu' eludibile un serio e concreto intervento per riqualificarne, e per quanto possibile, ridurne i costi. In questa prospettiva, dobbiamo tagliare gli sprechi e togliere molte delle competenze alle Regioni.

6.   Creando vere condizioni affinche' Meritocrazia, valutazione e trasparenza totale siano le parole d'ordine per ridisegnare la pubblica amministrazione. In buona sostanza: "Chi sbaglia paga, e chi e' bravo viene premiato". 

7.   Incisiva azione di riforma del sistema scolastico e formativo in genere, andando oltre le pur lodevoli direttrici della Legge n.107/2015, PURTROPPO depotenziata già dalla sua prima applicazione, depotenziamento peraltro proseguito con i successivi governi. Occorre attivare serie procedure di valutazione delle performance quindi superando l'attuale autoreferenzialita', introducendo criteri di premialita' al merito, operando seriamente per un collegamento sempre piu' stretto fra la formazione e le esigenze dei territori.

8.   E' ora di stipulare un nuovo patto fiscale fra istituzioni e cittadini, basato su una nuova politica che impegni tutti a pagare in base alle loro possibilita', e nel contempo lo Stato a render conto con la massima trasparenza della destinazione del denaro pubblico. Oltre ad una riduzione della pressione fiscale, partendo dal costo del lavoro, è necessaria una complessiva riorganizzazione delle procedure, in modo da semplificare il rapporto di cittadini ed imprese con il fisco.

L’attuazione di una nuova politica fiscale, profilata come indicato, costituirebbe un vettore formidabile per riannodare il rapporto fiduciario fra Stato e cittadini 

9.   E' indispensabile l'avvio di una vera politica di liberalizzazioni, condizione necessaria per dar fiato alle energie per fortuna ancora vitali del nostro tessuto sociale. Liberalizzazioni intese anche come liberazione dai tanti vincoli creati ormai da quasi un cinquantennio di invasione ai danni della societa' perpetrata dal perverso intreccio fra politica e burocrazia. La liberalizzazione non deve essere piu' vista come qualcosa da temere e da allontanare.

Non è un feticcio ma una necessità per la ripresa del Paese.

10.  Nonostante l’esito del referendum del 4 dicembre 2016, è giunto il tempo di riprendere il tema della Profonda revisione del sistema degli strumenti di governo dello Stato e del complesso delle istituzioni del governo locale, riprendendo le riforme a suo tempo varate, modificandone i contenuti ove consigliato dall’esperienza nel frattempo maturata, prevedendo altre razionalizzazioni e accelerando sensibilmente sugli accorpamenti fra Comuni. Tema delicato e complicato, ma dalla cui soluzione discendono efficacia e efficienza della Pubblica Amministrazione, slancio alla ripresa, reale diminuzione dei costi della politica. E’ da sottolineare che, pur nel contesto costituzionale vigente, sussistono ampi strumenti di intervento la cui attivazione presuppone certo una seria volontà politica.

11.  Riforma della Giustizia, civile e penale, per rendere il sistema coerente con gli standard piu' avanzati dell'Unione Europea . In Italia è pregnante il tema del ritorno ad un autentico stato di diritto. In tale prospettiva, pur nella salvaguardia dell’indipendenza del potere giudiziario, la separazione delle carriere e degli organi di autogoverno fra magistratura inquirente e magistratura giudicante è imprescindibile.

12.     Seria politica dell'immigrazione, soprattutto con riferimento all'immigrazione per ragioni economiche, distante tanto dagli atteggiamenti muscolari e populisti della destra, quanto dal buonismo e/o ideologismo di certo mondo cattolico e della sinistra, entrambi inidonei ad affrontare un fenomeno di estrema complessità e dimensioni. L'immigrazione richiede la messa in campo di grandi capacità di visione politica e di solida credibilità in ambito internazionale.

L'Italia ha sicuramente ragione nel chiedere la solidarietà europea ma, nel contempo, deve saper proporre politiche razionali unitamente alla capacità di risultare credibile nel sapersi far carico degli impegni assunti. In questo orizzonte potranno certo essere presi accordi con i paesi di provenienza degli immigrati economici, ed il nostro paese potrà giocare una partita decisiva per l'intera Unione Europea. La profonda revisione dell’accordo di Dublino è un passaggio fondamentale per sancire una nuova assunzione di responsabilità in ambito europeo.

13.   L'immenso patrimonio artistico-culturale e paesaggistico-ambientale italiano potrà, se adeguatamente gestito mediante politiche lungimiranti e non ideologiche, offrire formidabili opportunità di sviluppo in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso. Negli ultimi anni qualche segnale nella giusta direzione è arrivato: occorre andare oltre, prendendo a modello esempi virtuosi ampiamente disponibili in molti paesi europei che riescono a trarre profitti da patrimoni ben inferiori quanto a qualità e dimensioni. Da noi il tema risulta particolarmente delicato e di difficile soluzione, sia in ragione della necessità di superare certi tabù ideologici consolidatisi in decenni di supremazia della sinistra nella società politica, sia in ragione della frammentazione e sovrapposizione delle competenze fra i vari livelli di governo. La riforma costituzionale rigettata con il recente referendum conteneva elementi utili; se ci sarà la volontà politica, potranno essere recuperati nell'ambito della ridefinizione dello scenario normativo di settore.

Comunque, anche qui è un problema di qualità e non di quantità. Non è vero che in Italia non si investono risorse nella cultura; il tema vero è che si investono di sovente per alimentare clientele politiche e non per costruire veri progetti di sviluppo del settore. Non raramente le spese culturali assumono in Italia più la connotazione di costi aggiuntivi della politica che non il profilo di veri investimenti di ampio respiro culturale. Occorre quindi un radicale cambio di passo 

14.  Tema delicatissimo è quello della riforma della burocrazia, di cui tutti parlano, ma in modo sostanzialmente evanescente. La situazione della burocrazia italiana non è frutto del caso, ed affonda le radici nella vicenda unitaria della nazione, a partire dai suoi primi passi. Non a caso già il sessantennio di governo liberale è stato definito "Governo burocratico dello Stato". Burocrazia e politica (e negli ultimi decenni anche sindacato) si sono infatti reciprocamente sostenuti ed alimentati, mediante uno scellerato patto con il quale si sono distribuiti vantaggi reciproci. Mettere le mani in questo vespaio vuole sicuramente dire prendersi tante punture velenose; nel mondo di pavidi ed irresponsabili che affollano la politica italiana, non si vede chi possa avere il coraggio di farlo. Concretamente, un grosso risultato verrebbe sostituendo il silenzio rifiuto, che attualmente vige nel rapporto fra cittadino e burocrazia, con il silenzio assenso. Sarebbe una grande scelta di civiltà giuridica, che potrà dare dignità di cittadini a coloro che oggi la burocrazia considera come sudditi. Sarebbe anche un forte elemento di impulso alla crescita economica, poiché ogni intervento di efficientamento del sistema si traduce in qualche punto di PIL.

15. La riforma Costituzionale votata dal Parlamento che prevede la riduzione del numero dei parlamentari, è monca se non si accompagna ad altre riforme finalizzate a creare le condizioni per una autentica democrazia governante.

Oltre a riprendere il tema delle riforme istituzionali, come già indicato al punto 10, è indispensabile affrontare il tema della riforma della Legge Elettorale, senza ipocrisie, mettendo a frutto l’esperienza maturata negli ultimi decenni. Ciò premesso, penso che sia giunto il tempo di prendere atto che in Italia non funzionano i sistemi elettorali maggioritari. Pertanto, anche se con sacrificio di posizioni precedentemente espresse, penso si debba tornare ad una Legge Elettorale di impianto proporzionale, con sbarramento, ridando dignità al concetto di mediazione che, troppo frettolosamente, abbiamo scambiato con l’inciucio.

16. Mettere in campo provvedimenti atti a sconfiggere la diffusa corruzione, in una prospettiva di oggettività e senza ipocrisie e/o presunzioni di superiorità morale, smettendola con la logica del rigore per l'avversario e di indulgenza per l'amico 

17. Ripensare radicalmente la politica della ricerca in una prospettiva che, pur senza sminuire il ruolo della ricerca di base, incentivi la ricerca applicata, per favorire nuovi sbocchi competitivi del sistema industriale italiano. Un modello di riferimento potrebbe essere quello tedesco di Fraunhofer-Gesellschaft.

18. Sviluppare una seria politica estera, con particolare attenzione ai temi europei, contribuendo con decisione allo sviluppo di azioni capaci di imprimere una spinta in avanti al processo di integrazione. Una politica che dovrà essere costruita senza ambiguità e senza ipocrisie. Se infatti appare sicuramente corretta la richiesta di revisione di varie politiche comunitarie, non ci si può nascondere che la politica italiana ha cercato di scaricare sugli organi di Bruxelles proprie inadeguatezze e proprie pavvidità, in tal modo massimizzando i danni: perdita di credibilità nello scenario internazionale e, sul fronte interno, aiuto alla diffusione di mentalità anti-europea che andrà ad ingrossare il bottino elettorale dei partiti sovranisti. L'Italia potrà giocare un ruolo importante nel percorso che l'Europa è chiamata a percorrere; il presupposto indispensabile sarà quello di recuperare una autentica credibilità internazionale, oggi molto compromessa.

19.  La sfida ambientale è una delle più importanti e complesse che attende la politica. VA saputa affrontare in modo lungimirante, evitando di cadere nella logica della retorica, e dei lacci delle spinte ideologiche. E’ inevitabile che le attività antropiche incidano sull’ambiente; occorre saperne rendere compatibili gli effetti con la tutela delle risorse del pianeta, pensando alle prossime generazioni. Vanno però evitati crinali anti-industriali, al pari di atteggiamenti dettati da cedimenti a spinte emotive, retoriche ed irrazionali, confliggenti con l’equilibrio e la razionalità con cui vanno governati fenomeni di tale complessità. La necessità di scelte prospettiche, rendono assolutamente inutili, anzi dannosi, interventi spot quali ad esempio quello della tassazione degli involucri di plastica, con i quali, ipocritamente, si vorrebbe attribuire una patente di scelta green ad una determinazione dettata esclusivamente dalla volontà di fare un po’ di cassa, a danno dei disarmati consumatori.

20. Infine, ma non certo per ultimo di importanza, una fondamentale questione di metodo. I punti elencati vanno affrontati globalmente, non solo perche' parziali riforme non sono sufficienti, ma perche' solo nell'ambito di un complessivo e riconoscibile disegno riformatore, si puo' sperare che la societa' italiana possa riconoscersi, superando il ben noto e cronico arroccamento alla difesa degli interessi di parte e/o di corporazione, il piu' tenace ostacolo sul quale si sono sinora infrante anche le piu' timide aspirazioni riformatrici.

 


 

 

giovedì 15 giugno 2023

Perchè un partito dei liberaldemocratici non è più un lusso, ma una necessità , di Giammarco Brenelli.

Think Tank Reformists pubblica oggi un articolo di Giammarco Brenelli scritto per  http://www.linchiesta.it/ del 13 giugno 2023, perchè tratta un tema assai attinente al Congresso di Italia Viva, ma anche al futuro del Terzo Polo. Una sua opinione, ben argomentata che non è completamente la nostra, ma che ci sembra utile al dibattito in corso.

Le difficoltà della prospettiva del Terzo Polo non sono legate soltanto alle diverse personalità dei due leader, ma alla contraddizione di presentarsi come la novità liberale in un sistema politico in cui rimangono vecchi vizi e anomalie della seconda Repubblica. 

Per questo, va riconosciuto che un partito liberaldemocratico è necessario. Non si spiegherebbe diversamente il fatto che, dopo il clamoroso insuccesso della “fusione” tra Azione e Italia Viva, ancora i sondaggi indichino questa preferenza degli elettori. Non è solo un segnale per Matteo Renzi e Carlo Calenda (che sembrano averlo colto, peraltro), ma è una insistenza che ha un significato.

Senza entrare in questioni terminologiche, si può ben dire che lo spartiacque del 1993/1994 separa un sistema basato sui partiti di derivazione costituzionale rispetto a un nuovo quadro, basato su gruppi privi di struttura e con personale politico accalcato sul leader che, per parte sua, seleziona i propri collaboratori e nomina in larga parte i rappresentanti in Parlamento. 

Il sistema dei partiti di estrazione ideologica ha avuto le sue infamie nel contesto di una democrazia bloccata dalla presenza di una parte politica storicamente legata alla Unione sovietica. 

È stato così facile concludere che quegli strumenti erano vecchi, inattuali, e appunto, infami.

Meriterebbe (prima o poi succederà) una difesa in chiave storica di un sistema che, bene o male, aveva accompagnato il miracolo economico, vinto la sfida terroristica più importante tra tutte le democrazie dell’Occidente, contribuito a sconfiggere la mafia stragista e attuato qualche riforma epocale per i diritti del singolo. E scusate se è poco.

Bisogna tuttavia chiedersi se veramente la causa della crisi politica italiana risieda nel modello del partito classico o, invece nella stessa democrazia bloccata, tralasciando per questa volta altre cause concorrenti. 

Una certa crisi della democrazia rappresentativa avviene anche in altri Paesi, ma in Italia essa è più profonda e con radici ben diverse. 

Al riguardo aveva le sue ragioni Giorgio Galli quando osservava che l’alternanza al potere non era una caratteristica aggiuntiva della democrazia rappresentativa, costituendone invece l’essenza stessa.

Se esaminiamo i sistemi di democrazia rappresentativa europei dove l’alternanza ha potuto funzionare (senza dimenticare che nella Repubblica Federale Tedesca la costituzione del partito comunista era vietata), vediamo che in Germania, Paesi Bassi e in altri Stati del centro-nord Europa, a parte la Francia, il sistema classico dei partiti tuttora funziona senza risultare né vecchio né inattuale. 

Anzi, in quei Paesi i partiti rimangono radicati nelle impostazioni ideologiche classiche, socialiste, liberali, conservatrici, cristiane e altre minori.

Non solo, ma in quei sistemi politici i partiti, associazioni volontarie aperte a tutti i cittadini, funzionano come collegamento con gli interessi della popolazione, ognuno per la propria parte, elaborando programmi e selezionando i dirigenti politici nelle sedi periferiche e congressuali.

Dunque, mentre in Europa i partiti costituiscono l’asse portante della democrazia rappresentativa, l’Italia si è discostata da tale modello: è l’unica democrazia occidentale che non si fonda su partiti a struttura democratica, come per la verità, prevede anche la Costituzione «più bella del mondo». 

Di qui per tutti gli ultimi trent’anni il sorgere e il succedersi di una congerie di associazioni, movimenti, gruppi che si costituiscono, si sciolgono, nascono e si rigenerano di volta in volta con diversi leader che tutto decidono con la modalità di un velleitario cesarismo.

In tale quadro dell’offerta politica si è reso più facile un voto emozionale di simpatia, con fortissime oscillazioni percentuali, mentre la vaghezza ideologica ha aperto il varco al cosiddetto populismo, che è la cultura politica prevalente nella seconda Repubblica.

E così dal fenomeno del partito proprietà personale del leader, che sceglie i propri rappresentanti in modo sovrano, si è via via giunti alle più diverse varianti con una specie di metamorfosi per cui la politica poco conta mentre conta il leader, spesso frutto di un accorto processo artificiale di costruzione dell’immagine nella quale i social e il mezzo televisivo hanno ruoli predominanti.

Secondo il semplicismo populista, si è oscillato tra il desiderio di una democrazia diretta dove, libera da alchimie politiche, si realizza un governo rafforzato nei suoi poteri, oppure, tout court, alla trasformazione in senso plebiscitario della democrazia rappresentativa, magari approdando a tentazioni di democrazia diretta. 

Così il partito è stato ridotto a comitato elettorale governato quando non direttamente dal proprietario, da oligarchie correntizie.

Lo stesso Partito Democratico, che era quel tanto che rimaneva più vicino al modello classico delineato da Maurice Duverger fino a Giovanni Sartori, corre il rischio di via via liquidare la propria struttura col sistema delle primarie, ben diversamente strutturato rispetto agli Stati Uniti.

Aprendo ai non iscritti e ai movimenti, nella fase terminale del processo non iscritti portano infatti non iscritti sia alla segreteria che nei gruppi, per magari meglio predisporsi a più larghi campi e praterie.

Un partito strutturato e statutario dei liberali?

Nella nebulosa cangiante delle istituzioni politiche, nella vaghezza dei programmi mentre avanzano lobbies e caste (a cominciare dai magistrati “combattenti”), ciò che progressivamente è venuto a mancare in Italia è stato un dibattito, non di tweet. 

Un gruppo nuovo che si propone come liberale non può, dunque, che svolgere in primo luogo una difesa della politica, arte nobile, che può essere ignobile soprattutto quando manca la partecipazione responsabile e il popolo si estrania, come del resto avviene puntualmente e progressivamente in ogni consultazione elettorale.

Ma a una condizione: se si cerca discontinuità, non si possono mantenere, per comodità o per interessi oligarchici dissimulati, almeno in parte metodi elitari che hanno caratterizzato il modello che va appunto finalmente superato.

Renzi, che è odiato dal populismo trionfante, forse perché è uno degli ultimi politici di razza, comprende il passaggio d’epoca e ripropone il suo riformismo in una prospettiva liberale.

Non era così all’inizio, ma l’esperienza e le sconfitte lo hanno reso più liberale, più garantista. 

Calenda è uomo politico solido che si è distinto per combattere i luoghi comuni e gli slogan, ma, come l’altro, non può affidarsi ancora all’idea del solo uomo al comando perché ciò porta a tatticismo sterile e magari ad errori. 

Meglio, così, accettare il confronto in un partito fatto di organi, assemblee e congressi anche dolorosi.

In politica la sconfitta di oggi può, d’altra parte, essere la vittoria del giorno dopo, quando il programma si sostanzia in un’offerta presentata con carattere distintivo e secondo premesse ideali che approdano al liberalismo. 

Si tratta, dunque, di indire congressi, approvare statuti non finti, e ricreare lo strumento partito, scalabile da iscritti, che costituisca e rafforzi un personale politico autonomo rispetto alla classe dei maggiordomi che tributano onore interessato al capo che li ha nominati.

Un rischio che hanno corso Tony Blair, Helmut Kohl, e tanti altri in Europa, e anche da noi, cito a caso, Alcide De Gasperi, vari segretari socialisti,

Giovanni Malagodi e tanti altri padri, spesso fondatori o rifondatori di partito, che si sono accettati con funzioni di utile minoranza.

Si faccia un partito e si offra al Paese una novità politica rispetto alla fase in cui i partiti contano meno dei leaders e i leaders non si confrontanocon le idee. 

Renzi e Calenda costituiscono comunque ancora una novità. 

Hanno in sorte di riportare il Paese nell’alveo della politica con uno strumento politico affine alla famiglia europea dei liberali rappresentati nel Parlamento Europeo, proponendo nel contempo un’offerta solida nel quadro non poco confuso dell’opposizione in Italia.

(da www.linchiesta.it - 13 giugno 2023)



 

martedì 13 giugno 2023

TTR, Congresso Italia Viva: Luigi Marattin news letter 27

Questo Blog Think Tank Reformists continua a pubblicare documenti di quanti ci scrivono su questioni che riguardano il Congresso di Italia Viva.

Le enews di Matteo Renzi vengono invece da noi ripubblicate direttamente su i nostri social e sulle nostre news letter, così come ci sono state inviate: l'ultima di ieri 13 giugno, n.885.

Nella fase congressuale crediamo che ogni voce autorevole e interessante debba essere divugata per far crescere il dibattito e fare del congresso una vetrina delle migliori idee degli iscritti e dei simpatizzanti di Italia Viva.

Pubblichiamo oggi la news letter 27 di Luigi Marattin con cui spiega e chiude la polemica sulla nomina di Raffaella Paita a Coordinatrice Nazionale di Italia Viva, in ottica del Congresso.      

 Buongiorno a tutti,

questo è un invio particolare della newsletter, perché ritengo giusto confrontarmi con chi genuinamente mi segue in merito a tutte le possibili sfaccettature inerenti una piccola questione che tuttavia sembra aver creato molto dibattito e tante situazioni spiacevoli alla interno della comunità di Italia Viva.

Saprete sicuramente che domenica, il giorno dopo l’assemblea nazionale a Napoli, Elena Bonetti ed io abbiamo scritto questo post / tweet contenente una semplice e operativa proposta. Come noto sono sempre attento a non compromettere la libera e autonoma capacità di ciascuno di farsi un’opinione, quindi rileggendolo potrete capire da soli se contenesse toni sopra le righe o meno.

Le reazioni che sono seguite - modellate sulla falsa riga dei comportamenti di  forze politiche alle quali in teoria da anni ci opponiamo - sono state in alcuni casi molto dure. C’è chi ci ha definito “miracolati”, chi “ingrati”, chi ci ha invitati ad andarcene dal partito. Per fermarci alle reazioni più gentili.

Ritengo giusto non immischiarmi nel fango social sapientemente alimentato, e invece rivolgermi a chi ha dimostrato interesse per la mia attività provando a spiegare quanto successo (e anche smontare qualche fake news) col solito metodo dello “spiegone” (perdonatemi… è la forza dell’abitudine!)

Per cui 10 domande e risposte. Come sempre, non per convincere nessuno ma “per aiutare a farsi un’opinione per conto proprio”.

1) PERCHÉ TU E ELENA BONETTI NON SIETE INTERVENUTI IN ASSEMBLEA NAZIONALE PER ESPRIMERE LA VOSTRA POSIZIONE?

Perché l’introduzione di Matteo - su cui si è impostato il successivo dibattito- era perfetta. Personalmente condividevo tutto: l’idea di separare i congressi locali dal nazionale non mi faceva (e non mi fa) impazzire, ma la discussione su quello ci sarebbe stata nel costituendo comitato per il regolamento congressuale, come aveva annunciato Matteo.  Per cui nessun problema, nessuna obiezione, nessun bisogno di intervenire.

2) E ALLORA PERCHÉ IL TWEET?

Perché la questione su cui assieme ad Elena abbiamo idee diverse (cioè la nomina  improvvisa e non pre-annunciata di un coordinatore nazionale) è stata comunicata alla fine dell’assemblea, quando il dibattito si era già concluso e non era più possibile intervenire.

3) È VERO CHE VE NE SIETE ANDATI DOPO LA RELAZIONE DI MATTEO?

No.

Personalmente sono rimasto in prima fila perché mi interessava ascoltare quanti più interventi possibile. Come sa chi era in sala e chi chiedeva di parlarmi (e si sentiva rispondere “ora devo seguire l’assemblea”). Sono andato via dopo le 14, Elena invece è rimasta #finoallafine.

4) COSA NON VI HA CONVINTO DELLA NOMINA DI UN COORDINATORE NAZIONALE?

Tre cose, e in nessuna di queste c’è un giudizio verso Lella, che è persona umanamente e politicamente splendida.

La prima l’ho già detta: non si annuncia una cosa del genere alla fine prima di salutare tutti, ma durante il discorso introduttivo. Proprio per dar modo alle persone ( “che hanno pagato il biglietto per il viaggio a Napoli”, come ha scritto l’ufficio stampa di Iv ) di esprimersi.

La seconda: non sono un fan dei cavilli e delle procedure, ma nell’attuale Statuto non esiste ne’ la figura di “coordinatore nazionale” ne’ il potere del Presidente di nominarla...

5) ASPETTA ASPETTA… NON È VERO. LA NOTA DELL’UFFICIO STAMPA DI ITALIA VIVA DICE DI SI.

Basta leggere lo Statuto, invito tutti a farlo.

All’art.10 sono descritti i poteri del Presidente. Al comma 3 è scritto che “ha poteri di nomina secondo le disposizioni del presente Statuto”.

Che non vuol dire, come qualcuno sta cercando di farvi credere, “può nominare chi vuole in qualsiasi ruolo, che esso esista o meno”.

Ma vuol dire “può effettuare le nomine che il presente Statuto gli consente di fare”.

E il “presente Statuto” al riguardo è molto chiaro, quando all’articolo 5.2.4. disciplina i poteri di nomina del Presidente: la nomina dei coordinatori territoriali, che infatti come sappiamo fino ad oggi sono stati nominati dal Presidente.

Pertanto l’affermazione secondo cui la nomina di un coordinatore nazionale rientri nelle previsioni dello Statuto è totalmente destituita di ogni fondamento.

6) VABBÈ TORNIAMO ALLA POLITICA DAI.

Esatto, come dicevo non mi appassionano i codicilli. Perlomeno finché non vengono raccontate falsità. Un metodo che abbiamo sempre fieramente avversato.

Il terzo motivo per cui abbiamo dubbi è appunto politico. Nel momento in cui si chiamano gli iscritti a eleggere il coordinatore comunale, quello provinciale e quello regionale (in un contesto aperto e contendibile) non è chiaro perché, invece, un coordinatore nazionale in carica per ben più di un anno (“fino a dopo le Europee”) debba essere comunicato a fine Assemblea.

7) MA PERCHÉ NON NE AVETE PARLATO NEGLI ORGANISMI DIRIGENTI?

Perché al momento IV ha soltanto l’Assemblea Nazionale come organismo dirigente operativo, che si è riunito 9 volte in 4 anni. Ma in tale organismo, appunto, la cosa non è stata comunicata in modo tale da poter essere discussa.

Non è operativo alcun altro organismo dirigente.

8) MA PERCHÉ NON NE AVETE PARLATO CON MATTEO 

Ovviamente lo abbiamo fatto, ieri mattina prima di fare il comunicato. La lealtà - pur nell’autonomia di pensiero - viene prima di ogni cosa. Anche se non prima della dignità.

In ogni caso mai avremmo preso una posizione pubblica senza avvertire Matteo. Che tra l’altro è stato totalmente tranquillo sulla vicenda, vedendola per come è: e cioè una opinione diversa su un punto.

9) CI SONO DIVERGENZE POLITICHE “DIETRO”?

No. Come noto, io era tra coloro che hanno lottato per non dividere i gruppi in Parlamento, pur avendo preso atto del fallimento momentaneo della Federazione con Azione.

Ma si tratta di una posizione politica, ovviamente opinabile. Cioè quella di chi è convinto che l’unica vera prospettiva sia continuare a lavorare per un contenitore più ampio e con regole diverse. E che sia l’unico modo per sconfiggere populismo e conservazione.

10) E ORA VOLETE USCIRE DA IV?

Ho iniziato ad appoggiare le idee di Matteo Renzi da quando si candidò alle primarie per sindaco di  Firenze, nel 2008. E in questi 15 anni a questa comunità ho dato tutto me stesso, e anche di più. L’ho fatto, recentemente, anche in giorni e ore della mia vita in cui probabilmente avrei dovuto pensare ad altro.

Stare in questa comunità secondo me vuol dire contribuire alla sua crescita esprimendo le proprie idee, nel rispetto delle regole e degli organismi dirigenti, quando queste due cose sono presenti.

E anche nel rispetto delle persone. Se in questa piccola vicenda il rispetto ci sia stato o no (e da chi verso chi), lo lascio come sempre decidere a voi.

Nelle tante iniziative locali alle quali molti di voi sono stati così gentili da invitarmi l’ho ripetuto spesso: un progetto politico in Italia sarà pienamente vincente non solo quando avrà i “4 elementi” (leader, classe dirigente, messaggio/contenuti e organizzazione come ho avuto modo di spiegare in una intervista a QN - Resto del Carlino - la Nazione) ma quando coloro che lo portano avanti capiranno che la cooperazione tra loro rende più che la competizione personale.

Ed è una delle cose di cui sono maggiormente convinto nella vita.

Ma “cooperazione” non significa eseguire ogni tipo di ordine senza poter mai esprimere il proprio punto di vista, pena l’essere considerato un pericoloso nemico del popolo contro cui organizzare una campagna social, se così poi si può persino chiamare.

Significa costruire una comunità con regole chiare e con organismi dirigenti funzionanti , riconoscere e favorire le complementarietà tra le persone (e non le rivalità), costruire la partecipazione e il confronto tra le opinioni diverse. Non avendo paura di esse, perché comunque quello che ci unisce è talmente forte e talmente bello - inclusa la fiducia per il leader - da poterci permettere di costruire insieme un dialogo che consenta la crescita collettiva e il rafforzamento del progetto comune.

Vi dovevo questo chiarimento, e spero sia stato utile. Non aveva altro scopo: come vi ho detto, non è mia intenzione alimentare contrapposizioni ne’ tra persone ne’ tra gruppi organizzati di persone. La cooperazione - se vissuta realmente e non come mero annuncio - rende più della competizione.

Rimango sempre a disposizione per continuare le nostre battaglie insieme.

Un caro abbraccio a tutti

Luigi