Nelle elezioni regionali del 12 e 13 febbraio il Terzo Polo è andato inequivocabilmente male.
E’ vero che si trattava di un contesto molto difficile per molteplici ragioni di varia natura; ma ciò non esime dalla necessità di esaminare il risultato con grande rigore, tenendosi distanti dalla tentazione di schermirsi dietro giustificazioni più o meno di comodo, mostrando grande onestà intellettuale nel riconoscere anche gli errori che inevitabilmente si compiono.
Naturalmente tenendosi altresì distanti da forme di autoflagellazioni o di scoramento che possono cogliere in queste occasioni, avendo ben presente che i processi politici seri richiedono tempi lunghi, e che non è certo un momentaneo insuccesso che ne determina il valore e gli esiti.
Naturalmente non si esprimono
nemmeno giudizi sulle scelte del corpo elettorale; mi viene in mente a tal
proposito la celebre frase di Bertolt Brecht: “Il popolo ha perso fiducia nel
governo. Non sarebbe più semplice allora che il governo sciogliesse il popolo e
ne eleggesse un altro?”
Ma prima di entrare “in
partita”, ritengo utile una premessa su due tematiche.
La prima è quella
dell’astensionismo.
Non vi indugio, invitando i
lettori a leggere sul tema l’articolo di Antonio Rossetti e coloro che hanno un
po’ più di pazienza, i miei articoli collegati.
Invito però a riflettere –
oltre che sulle percentuali – sui voti reali: un dato da cui emerge un quadro
veramente impressionante, che “Fucina idee” si ripropone di presentare in altra
occasione.
La seconda tematica è quella
della vacuità dei sondaggi.
Si intende che questo
strumento abbia un margine di errore, ma quando l’errore rasenta il 50% non si
capisce quale possa essere la sua utilità.
E la questione non è marginale, posto che ormai la politica presta ascolto più ai sondaggi che ai contenuti di un progetto ed una visione di società.
Una politica sempre più
appiattita sulla dittatura del presente, ansiosa di soddisfare anche le più
irrazionali pulsioni populiste allorché vengano ritenute portatrici di voti.
Sono evidenti i guasti di una
politica appiattita sui sondaggi; se poi questi sondaggi hanno l’attendibilità
emersa in questi giorni, chiunque ben comprende a quali conseguenze si può
andare incontro.
Dicevo di una situazione
molto difficile.
Il primo fattore di questa
difficoltà – diciamo oggettiva - è dato dalle Leggi Elettorali vigenti nelle
due regioni in cui si è votato.
Infatti, sia il Lazio che la
Lombardia, hanno un sistema di voto che assegna la vittoria al candidato presidente
che abbia preso un voto più degli altri.
Un sistema quindi che spinge
l’elettorato nella direzione del “voto utile” al candidato percepito come più
forte e quantomeno meno distante dal proprio desiderio.
Un sistema quindi che spinge
verso la polarizzazione attorno agli schieramenti più consolidati, pertanto
molto escludente verso le proposte numericamente percepite come minoritarie.
Il candidato del Terzo polo
non avrebbe potuto infatti vincere nemmeno se avesse preso il 20%.
Mi pare chiaro che la
possibilità di affermazione di una forza qual al momento è il Terzo Polo,
presupponga un sistema di voto di natura proporzionalista; una strada su cui
credo dovrebbe caratterizzarsi anche a livello nazionale, posto che gli
argomenti in favore di una tale scelta non mancano, prescindendo dagli
interessi elettorali contingenti.
Infatti, deve essere chiarito
che il tema vero non è quello del bottino elettorale del Terzo Polo, bensì
l’utilità che la sua affermazione potrà avere per la politica italiana, in
ragione delle disomogeneità e contraddizioni dei due principali schieramenti.
La scelta di un sistema
elettorale proporzionale è la conseguenza del fallimento, in Italia, degli
impianti maggioritari.
In questo Parlamento sarà ben
difficile creare una maggioranza proporzionalista; ma, come già detto, i veri
processi politici sono lenti e la politica seria deve imparare di nuovo ad
investire sugli orizzonti ampi.
Tornando al nostro focus, un
banco di prova significativo sarà l’appuntamento con le elezioni europee del
prossimo anno, regolate da un sistema elettorale proporzionale, e alle quali il
Terzo Polo si presenterà con una proposta legata ad un movimento “Renew Europe”
che ha appunto una dimensione ed una visione europea.
Un’altra lezione da non sottovalutare
- proveniente dalla Lombardia - è quella legata alla scelta del candidato
presidente.
Sgombro subito il campo da
qualsiasi dubbio sulle qualità personali e politiche di Letizia Moratti: figura
che anzi ho avuto modo di apprezzare come Ministro, come Presidente della Rai,
come Sindaco di Milano.
Un candidato, almeno visto da
qui, con tutte le carte in regola.
Il problema è che sino a
qualche mese fa, era vicepresidente della Regione, con il medesimo Presidente
ed il medesimo schieramento a cui si è poi contrapposta.
Non può quindi apparire
strano se il corpo elettorale si trova disorientato di fronte a questi cambi di
casacca.
Sia chiaro, cambiare idea è
del tutto legittimo; ma in questi casi una pausa nella ricerca di ruoli credo
sia necessaria, per evitare confusione fra il legittimo travaglio intellettuale
e la ricerca infinita di posizioni di potere.
Un altro fattore di criticità
va ricercato nella fragilità del Terzo Polo: una duplice fragilità, di
struttura e di contenuti.
Partendo dalla prima, dopo le
politiche dello scorso settembre si è proceduto, a mio modo di vedere, con
eccessiva prudenza.
Si è fatta, è pur vero, la federazione, che mi è apparsa subito insufficiente.
Mi sarei aspettato uno
scatto di reni più forte, un atteggiamento più coraggioso.
Invece si è visto un
attendismo che rischia di presentare il Terzo Polo più come il giochino di due
leader intelligenti e bizzosi che si scrutano in cagnesco, che non quale occasione
per creare un partito vero, capace anche di cambiare pagina rispetto a questi
organismi deformi che sono oggi i partiti, in cui vige il feudalesimo quale
regola di vita.
La seconda fragilità è quella
del contenuto della proposta politica.
Certo, gli ancoraggi al
liberalismo, al riformismo ed alla democrazia sono ancoraggi forti, ma se non
meglio definiti sono anche estremamente vaghi e vasti.
Un po’ di dibattito in questi
mesi si è sviluppato, ma siamo ancora distanti da un progetto politico dai contorni
ben definiti e riconoscibili.
A tal proposito mi piace
sottolineare l’utilità di certe iniziative messe in piedi da chi crede nel
progetto, quale, ad esempio, l’iniziativa lucchese, animata da Francesco Colucci, chiamata Think Tank Reformist.
Evidentemente questi fattori di fragilità sono stati colti dagli elettori lombardi e laziali.
Ho letto
dichiarazioni con cui si sottolinea la necessità di spingere sull’acceleratore
della costituzione di un partito vero.
Speriamo che sia così, e che
nasca un partito vero, in cui ci si confronti, in cui si legittimi dal basso la
classe dirigente, in cui, tanto per farla corta, si possa ritrovare il gusto di
fare politica.
Dicevo sopra della capacità
di investire sui tempi lunghi.
Qualcuno si chiede se è già
fallito il progetto del Terzo Polo?
Io rispondo certamente con un
no, purché si sappiano leggere i segnali che anche in questa occasione sono
arrivati dal corpo elettorale.
In Italia si oscilla sempre
tra esaltazione e depressione, tra boom e crisi, i partiti appaiono e
scompaiono a seconda delle luci della politica-spettacolo, si entra e si esce
dalla scena con i tempi delle comiche di Charlot.
La politica non si può
leggere sempre sotto l’effetto narcotico o euforizzante dell’ultimo dato
elettorale, specie se è parziale anche se significativo, e se ad esso ha
partecipato meno della metà degli aventi diritto.
Allora nervi saldi e
consapevolezza.
Ormai siamo abituati a
differenze veramente grandi fra una tornata elettorale e l’altra: confrontate
gli esiti delle elezioni lombarde del 2018 e quelle di qualche giorno fa.
Ciò che è vero oggi potrà non
essere più vero la prossima volta.
Basta credere nei progetti politici, sapere che si giocano sulle lunghe prospettive, non attendersi quindi risultati immediati, non farsi vincere da atteggiamenti irrazionali, essere coerenti e tenaci.
Lucca, 15 febbraio 2023
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