Presentiamo un saggio del Prof. Maurizio Grassini, con una grande esperienza di Econometria SECS-P05 anche alla Facoltà di Scienze Politiche Università degli Studi di Firenze, su uno dei temi più discussi nella sinistra e non solo: la lotta alla disuguaglianza per il raggiungimento dell'eguaglianza, pubblicato su Fucina idee.
Eguali…ma diversi, di Maurizio Grassini
Tramontato il ‘Sol dell’avvenire’, scomparsa la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, nel cielo della sinistra è spuntata sempre più brillante la stella della lotta contro le’ diseguaglianze’.
Secondo Norberto Bobbio nel suo saggio ‘Destra e
Sinistra’, la lotta contro le disuguaglianze è oggi il ‘core business’ delle
forze politiche che vantano antenati che lottavano per la nazionalizzazione dei
mezzi di produzione e per l’affermazione delle libertà sostanziali in spregio a
quelle formali che, oggi, usiamo chiamare human rights.
L’obiettivo della lotta alla diseguaglianza è ovviamente il raggiungimento dell’eguaglianza.
Questa, di fatto, è un’opzione ideologica, poiché non esiste in ‘natura’, sia
quando si fa riferimento alle condizioni di partenza quanto a quelle di arrivo.
Le condizioni di partenza sono profondamente segnate dai genitori, dalla famiglia e dalle relazioni familiari.
Rimuovere questi fattori implica una deportazione dei figli in un ‘unico’ collegio giacché il ricorso a più collegi condurrebbe inevitabilmente a differenziazioni in contrasto con l’obiettivo dell’uguaglianza alla partenza: una soluzione distopica.
Quindi l’eguaglianza
alla partenza non può esistere anche perché ogni giovane non può scegliersi i
genitori.
L’eguaglianza all’arrivo comporta un sistema complesso di handicap da applicare lungo il corso della vita produttiva di ogni persona affinché questa non si distacchi dal gruppo che, dato l’obiettivo politico dell’eguaglianza, deve arrivare compatto al traguardo.
Come alla partenza, anche l’eguaglianza all’arrivo è un
obiettivo a cui la sinistra tende ed anche questo obiettivo si configura
irraggiungibile.
La lotta per l’eguaglianza della sinistra galleggia tra queste due distopie.
Essa si caratterizza poi per il trattamento delle persone come massa.
Questo carattere può essere esemplificato nella versione del principio di eguaglianza che la sinistra fa dei seguenti due commi dell’ art. 43 della Costituzione Italiana:
a) I capaci e meritevoli, anche se privi di
mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
b) La Repubblica rende effettivo questo
diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che
devono essere attribuite per concorso.
Che la
sinistra sintetizza nella versione:
I giovani
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e la Repubblica rende
effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre
provvidenze
Tutti i
giovani – non solo capaci e meritevoli giacché sono tutti eguali - hanno il
diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e, inoltre, borse di
studio, assegni alle famiglie e provvidenze vengono elargite a tutti senza
concorso, perché il concorso per definizione crea diseguaglianze.
L’eguaglianza
all’arrivo ha rappresentato, da sempre, la pietra angolare della società
socialista. Quando poi, con il crollo dell’Unione Sovietica, l’immagine della
società dell’eguaglianza, della giustizia sociale e delle libertà sostanziali
si dissolse, la ‘società giusta’ proposta dal filosofo John Rawls si prospettò
alla sinistra come una nuova ‘dottrina’ della giustizia sociale adeguata ai
nuovi tempi.
Questa ‘società giusta’, seppur definita in termini distanti dai problemi concreti che la convivenza civile comporta, è la società dove ‘oneri e benefici’ di tutti i membri sono stabiliti al momento della sua fondazione: quando si decidono le condizioni iniziali dell’’eguaglianza’.
Seppur non ravvisabile come stilizzazione di una società reale, questa ‘società giusta’ ha per la sinistra il pregio di conservare l’equilibrio degli ‘oneri e benefici’ iniziali dei suoi membri con una politica economica diretta a ricostituire continuamente l’equilibrio iniziale; equilibrio che continuamente nella vita di tutti i giorni si altera.
Cioè, una lotta contro
l’insorgere delle ’diseguaglianze’. Alla
fine, non più la nazionalizzazione dei mezzi di produzione ma semplicemente un
welfare state in costante espansione con il proposito di rimediare alle
diseguaglianze.
Ma la stella polare dell’eguaglianza rivela la sua astrattezza con la propria irraggiungibilità: non esiste alla partenza, c’è solo l’aspirazione o la speranza di raggiungerla in un punto indefinito nel tempo.
Ma il continuo
sfaldarsi di ogni sforzo diretto al perseguimento dell’eguaglianza dovrà pur
significare che c’è qualcosa di storto in questo obiettivo politico tanto caro
alla sinistra?
Infatti, l’eguaglianza non esiste nel campo in cui sono praticate le politiche economico-sociali.
Esigenze di concretezza impongono di considerare le
diversità e non le diseguaglianze, perché le diversità sono la realtà nella
quale il policy maker è chiamato e costretto ad operare.
Con il
criterio delle diversità non hanno valore le unità di misura adottate per la
distinzione tra ricchi/poveri o tra chi ha di più e chi ha di meno, perché il
criterio delle diversità induce a distinguere chi è in grado e chi non è in
grado di produrre reddito.
I soggetti
che producono reddito, in questa prospettiva, devono essere trattati con dovuto
riguardo perché è con il loro lavoro che tutti possono godere dei consumi
pubblici, inclusi coloro che, per varie ragioni, non partecipano alla
produzione del reddito.
I soggetti
che producono reddito meritano, quindi, doverose attenzioni ed in particolare
non devono essere condannati ad assistere a politiche economico-sociali che
assumono la forma di interventi caritatevoli del policy maker.
Inoltre, la
diversità delle traiettorie delle produzioni di reddito individuali deve
meritare il più ampio apprezzamento sociale e non deve essere mortificata come
avviene quando la politica economica-sociale è orientata alla lotta contro le
disuguaglianze.
La diversa capacità individuale di produrre reddito è un dato della realtà e, in un’economia di mercato, gli individui non mantengono posizioni economiche relative statiche: la società è il luogo dove lo status relativo di ogni singolo individuo è in continuo cambiamento.
L’ascensore sociale viene, appunto, evocato per misurare l’esito di questi cambiamenti delle posizioni individuali. Ed oggi si sentenzia erroneamente: l’ascensore sociale si è bloccato.
Ciò è falso. L’ascensore sociale segnava un miglioramento generale delle posizioni individuali quando, partendo da dominanti livelli di reddito bassissimi, se non di indigenza, non c’era altra prospettiva se non quella di un miglioramento generale (seppur diseguale: non tutti insieme segnavano un miglioramento).
Oggi, l’ascensore sociale è usato da una società lontana da quella, ad esempio, di un secolo fa quando veniva preso (se preso) soprattutto dal ‘pian terreno’.
Oggi, nella nostra società ‘affluente ai consumi’ l’ascensore si prende ai piani superiori e quindi si può tanto salire quanto scendere.
Questo è ciò che accade nella nostra società. Grazie ai livelli di benessere diffuso (basta pensare alla partecipazione massiccia alle vacanze al mare, alle settimane bianche, ai viaggi all’estero, al fine settimana in giro per le città d’arte, un turismo a tutto tondo considerato un diritto sociale acquisito) oggi l’ascensore sociale viene preso principalmente a livelli di benessere conquistato dai genitori, livelli che non sempre i figli sono capaci di mantenere.
La pretesa dei figli di non arretrare genera angoscia che poi chiamiamo ‘disagio sociale’.
Questo è proprio frutto delle diversità che scaturiscono dalle differenze che ognuno di noi marca per le proprie capacità di partecipazione, con ogni singolo contributo individuale, alla produzione del benessere collettivo.
E con queste diversità bisogna saper vivere.
Lucca, 10
febbraio 2023
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