Le elezioni politiche del 2022 hanno evidenziato la grave crisi della sinistra e il successo della destra più combattiva, quella con meno centro.
Il sistema democratico italiano e le sue Istituzioni palesano
inefficienze e ritardi
Nella storia della repubblica italiana si possono trovare discussioni
filosofiche varie e contrastate sul deteriorarsi delle forme Istituzionali e di
governo di uno Stato e di alcune teorie politiche che sembrano ripetersi
periodicamente nel corso dei secoli.
Dalla Anaciclosi di Polibio, al Machiavelli, fino a Vico con
la sua “teoria dei corsi e dei ricorsi storici” ma anche di molti altri
filosofi e studiosi.
Nel 1982 il PSI schierò a Rimini nella sua Conferenza
Programmatica il fior fiore di filosofi, studiosi, di uomini di cultura per affrontare
la crisi, di allora, della sinistra italiana, imbalsamata nello schematismo comunista,
insensibile al nuovo che stava venendo avanti con il mutare vertiginoso della
società, dei nuovi “mestieri”, del superamento delle “classi” tradizionali del
marxismo.
Credo che qualcosa di simile stia avvenendo ora in Italia,
non so se è un ricorso del Vico, ma è impressionante leggere alcuni
passi della relazione Martelli del 1982 che sembra essere scritta nel 2023.
Credo che rileggere un “sunto”commentato di cosa fu quella
epocale Conferenza Programmatica che Craxi e Martelli lanciarono e che è
passata alla storia come la teoria della santa alleanza fra Merito e Bisogno,
sia illuminante.
Il “riassunto commentato” che vi propongo è quello di Crisafulli
conservato alla Fondazione Nenni, del 2017.
Una riflessione da fare sulla validità immutata di alcune
teorie di allora e delle tante analogie con l’oggi, ma anche il recupero di
una cultura politica di movimento e di avanguardia che il nuovo Partito Liberal-Riformista
dovrebbe incarnare.
Francesco Colucci
Meriti e bisogni nel nuovo millennio, di Edoardo Crisafulli, 29 ott 2017 by fondazione Nenni.
Rinnovarsi o perire, diceva Nenni.
Coerentemente con questa massima, i socialisti si sono sempre
ingegnati nel rielaborare le loro coordinate culturali.
Il partito all’avanguardia ha una cultura politica in
movimento, fluida come un magma: guai se si solidifica in dogmi, luoghi comuni,
certezze assolute.
Già negli anni Ottanta si profilava la sfida: come
armonizzare antichi ideali con un processo di modernizzazione che investe con
forza dirompente la società, l’economia, la cultura?
La politica della DC e del PCI, schiava di categorie
consunte, segnava il passo.
Ecco che i socialisti tracciano nuovi solchi e utilizzano
tecniche di semina innovative, in un terreno abituato a una agricoltura
tradizionale.
La conferenza programmatica del PSI, svoltasi a Rimini nel
1982, volò sulle ali della creatività e del dinamismo.
Claudio Martelli, nella sua memorabile relazione, ebbe il coraggio dell’autocritica: “La
verità nuda e cruda è che dopo la stagione del [primo] centrosinistra, la
sinistra italiana, noi compresi, non ha più avuto una strategia dell’intervento
sociale che non fosse puro assistenzialismo.”
È, questa, un attacco velato alla dittatura dei diritti,
concepiti oltretutto in un’ottica superata dai tempi.
L’assistenzialismo infatti riconosce i diritti sotto forma di
mancia ai poveri: è pane per i denti dei plebei; i cittadini della polis
democratica hanno ben altre esigenze.
Ed è pane indigesto: lo smerciano i politicanti per il
voto di scambio – panem et circenses dicevano, appunto, i maestri del
clientelismo.
Martelli prende le mosse da un’analisi aggiornata della
società italiana.
La sociologia marxiana delle classi sociali è ormai
“pietrificata”: gran parte dei lavoratori è impiegata nel terziario avanzato
e si è ingrossato altresì il “popolo delle partite IVA”.
La sinistra egemone non se ne è accorta, è ancora in preda ai
fumi dell’ideologia (il mito della centralità operaia, il legame con l’URSS
ecc.), e quindi attinge a una teoria dei bisogni semplicistica, ottocentesca.
Il riformismo socialista fa rinsavire dall’ubriacatura
marx-leninista.
Chi rappresenta i ceti professionali emergenti, gli
imprenditori di successo del Made in Italy, la miriade di aziende famigliari,
gli artigiani che veicolano l’estro italiano – in breve: il ceto medio
produttivo, che si è dilatato dagli anni del boom economico?
Non di certo la sinistra tradizionale, che guarda con
sospetto alla piccola borghesia: un tempo collusa con il fascismo, essa ancor
oggi coverebbe impulsi regressivi, reazionari.
E chi dà voce ai nuovi emarginati, che non figurano nel
Capitale di Karl Marx?
In questo bizzarro Paese in movimento che è l’Italia,
continua Martelli, c’è chi ha compiuto un formidabile balzo in avanti e c’è chi
è rimasto indietro.
Ecco che spuntano nuove povertà che si sommano a quelle
vecchie, ancora persistenti.
Non c’è solo l’operaio, alienato dalla catena di montaggio. Ci sono altre figure: i reietti della società contemporanea non sono i poveri in senso tradizionale (i denutriti, i disoccupati), bensì gli esclusi “dalla conoscenza o dagli affetti o dalla salute”.
Parliamo di persone che, pur essendo in grado di mettere il pane in tavola, arrancano o sopravvivono malamente nella società della competizione feroce.
“Penso ai carcerati, agli
alcolizzati, ai tossicodipendenti, ai malati, ai disabili, agli anziani, ai
minimi pensionabili senza una famiglia che se li prenda in cura, ai bambini
appunto, alle donne e agli uomini che sono soli e non vorrebbero essere soli,
ai giovani e alle ragazze che bussano al mercato del lavoro e non riescono a
varcarne la soglia, che cercano una casa per sposarsi e devono rinviare il
matrimonio, che sono esclusi dalla cultura e dal benessere.”
Cittadini dimezzati, insomma. L’alienazione sul luogo di lavoro si affianca a
nuove forme di povertà – spirituale, affettiva, culturale, materiale – che
amplificano il dolore insito nella condizione umana e paralizzano o deprimono
la volontà di riscatto.
Martelli non parla di doveri: li dà per scontati. E,
all’apparenza, parla il linguaggio arcaico dei diritti assoluti. Ma, a leggere
bene, il lessico e la grammatica del PSI stanno subendo una metamorfosi.
In una società frammentata, pulviscolare convivono gruppi
sociali disparati.
La sinistra deve imparare a orientarsi in una nuova
costellazione: l’interclassismo. L’attenzione del PSI si concentra su due
tipologie di cittadini, che necessitano entrambe di maggiori tutele: quelli
che lavorano nei settori più dinamici dell’economia, e danno perciò un
contributo decisivo alla ricchezza e al progresso della nazione, e quelli che,
rimasti alla base della piramide sociale, non esprimono appieno le loro
potenzialità.
La meritocrazia – finora estranea all’universo simbolico
della sinistra – è linfa vitale tanto per gli uni quanto per gli altri.
L’intervento sociale a pioggia favorisce solo politiche rozze
e improduttive.
A questo punto Martelli lancia un’idea geniale: il circolo
vizioso assistenza-emarginazione può essere spezzato in un sol modo: mediante
“un’alleanza riformista fra il merito e il bisogno”.
Devono far causa comune i ceti medi, ovvero i cittadini
attivi – “coloro che possono agire” perché hanno particolari capacità e
conoscenze ––, e gli emarginati, che sono i cittadini passivi – “coloro che
devono agire” per evadere dal carcere della nullità, della passività.
La sinistra riformista sconfiggerà la destra
illiberale/conservatrice solo puntando a una alleanza organica fra i lavoratori
delle professioni scaturite dallo sviluppo tecnologico e gli eredi dei
proletari di un tempo, spesso analfabeti di ritorno.
Gettato il sasso nello stagno, s’è visto qualche timido
cerchio concentrico.
Poi il nulla: l’acqua, a sinistra, è tornata placida come
prima.
Eppure, Martelli aveva sottolineato un punto importante: “Se separiamo il merito dal bisogno, il riformismo diviene o tecnocrazia o assistenzialismo”.
Parole profetiche, ben possiamo dirlo trentacinque anni
dopo.
La sinistra egemone, chiusa nel suo torpore e nella sua
pigrizia mentale, ha risposto alle povertà, antiche e nuove, proprio nel modo
peggiore: propinandoci assistenzialismo e tecnocrazia, a corrente alternata.
Né ha saputo sostenere e chiamare sotto la sua bandiera i
ceti medi, i quali, colpiti dalla crisi, sono sempre più impauriti e
frastornati.
Un peccato di omissione o disattenzione, questo, che ha
gettato in braccio alla destra le figure più dinamiche dell’economia.
Se si fosse data sostanza politica alla proposta del PSI, che
fu bloccata dalle due Chiese dell’epoca, PCI e DC, nonché dalla resistenza
passiva delle mille lobby e caste (e delle categorie più tutelate/sindacalizzate)
che ingessano ancor oggi il nostro Paese, non dovremmo ripescare addirittura il
discorso, scontato, sulle responsabilità del cittadino.
Cos’è “il buonismo” – diritto assoluto, sciolto da ogni legame col dovere – se non il volto nobile, idealistico, dell’assistenzialismo?
Chiedete, e vi sarà dato. A prescindere.
Non importano né i vostri meriti, né ciò che potete dare alla
comunità; contano solo i bisogni, ciò che vi spetta.
In fondo, se le risorse scarseggiano possiamo pur sempre
ricorrere a uno stratagemma collaudato: indebitiamo lo Stato scaricando i costi
sulle generazioni future.
Il diavolo però fa le pentole, non i coperchi: con la moneta unica questo escamotage non dura nemmeno lo spazio di una legislatura, non si può più utilizzare liberamente.
Ogni volta che l’assistenzialismo travolge gli
argini, e si spende con larghezza di maniche pur in assenza di sviluppo, ecco
che sorge la necessità del governo di tecnocrati che rimette le cose in sesto
con annessi e connessi di macelleria sociale (il professor Monti vi ricorda
qualcosa?).
La politica delle elargizioni assistenziali non ha intaccato
minimamente il potere delle corporazioni, anzi l’una è complementare all’altro.
Questo è il patto sociale occulto che frena da decenni
l’innovazione e il dinamismo: mance dall’alto e privilegi a iosa.
Così si è formata la palude italiana: si ignorano i bisogni
degli ultimi, che vanno soddisfatti con un riscatto autentico – la mobilità
sociale, una cittadina piena e attiva –; e al tempo stesso si deprimono i
talenti, l’innovazione, il merito.
L’esercito di chi ha bisogno è aumentato a dismisura, e i
manipoli del merito si sono assottigliati: troppi giovani laureati,
specializzati, tecnici ecc. sono emigrati all’estero.
Risultato: l’economia cresce (quando ce la fa) sbuffando, a
ritmi ridicoli.
C’è di più. Ben trentacinque anni dopo la riflessione di
Martelli – teniamo a mente questo lasso temporale pazzesco! – la società
italiana mica è rimasta al palo, immobile.
Formare un’alleanza fra merito e bisogno è ancor più
complesso: “coloro che devono agire”, gli emarginati, sono in maggioranza
immigrati.
S’è creato quindi un gap culturale e linguistico, che ai tempi di Martelli non c’era, rispetto a “coloro che possono agire”: gli italiani nativi e cittadini (si spera) attivi.
Naturalmente la recessione ha scaraventato un bel po’ di italiani nella schiera dei nuovi poveri.
Sicché ci
sono due rischi, collegati, da scongiurare: (a) una guerra fra poveri –
italiani contro stranieri – per la ripartizione di risorse sempre più magre;
(b) il coalizzarsi della maggioranza degli italiani autoctoni, i ceti più
abbienti/colti e quelli a rischio di proletarizzazione, in funzione
anti-immigrati.
Ragion di più per rilanciar la strategia geniale teorizzata
da Martelli.
Altrimenti sarà la destra xenofoba a vincere, nelle urne e
nei cuori.
Solo una alleanza fra meriti e bisogni rinforzerà le
fondamenta della comunità nazionale, consentendo l’integrazione effettiva dei
nuovi italiani!
Ma lo spirito di quell’alleanza va adattato ai nostri tempi:
esso richiede il ritorno, sul proscenio della politica, di una coppia troppo a
lungo separata: quella formata dai diritti e dai doveri del cittadino.
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