Il primo ad intervenire è il Prof. Paolo Razzuoli che oltre il suo intervento ci propone un recente articolo del Prof. Ernesto Galli della Loggia.
Aspettiamo altri interventi per far crescere questo dibattito del Think Tank Reformists.
Scuola: prima o poi dovremo parlarne senza infingimenti e ipocrisie a cura di Paolo Razzuoli
Ben volentieri accolgo l’invito di Francesco Colucci di aprire un dibattito all’interno di Think Tank Reformist sul tema della scuola: tema complesso e scivoloso, su cui il riformismo dovrà mostrare la capacità ed il coraggio di non confondersi con i tanti “ismi” evocati come bandierine identitarie e non come presa di coscienza di chiari obiettivi e coerenti percorsi.
Parlare oggi di riforma della scuola significa
infatti addentrars su un terreno scivoloso, su cui si è giocata la partita
degli scontri ideologici e delle tante contraddizioni della società italiana
nell’ultimo mezzo secolo.
E’ infatti dallo shoc provocato nella
società, nella cultura e nella politica italiana dall’irrompere sulla scena
delle istanze sessantottine che la scuola si è avvitata in un percorso di
decadimento e di sbandamento i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti.
Una situazione dovuta a molteplici e complesse
responsabilità che chiamano in causa numerosi soggetti politici e sociali che
non possono certo chiamarsi fuori dalla partita: politica, mondo accademico, il
sindacato, il giornalismo, il personale scolastico, l’opinione pubblica.
Nella scuola, meglio che altrove, si è
evidenziata la contraddittorietà di idea di “uguaglianza” coltivata dalla
sinistra: uguaglianza non intesa come tutela delle condizioni affinché ciascuno
potesse esprimere al meglio le proprie potenzialità, bensì come diritto,
prescindendo dal merito, di conseguire il titolo legale dei livelli più
avanzati dell’istruzione.
Ed è così che per l’eterogenesi dei fini,
questa “scuola progressista e democratica” si è trasformata in una fucina di
disuguaglianze, contribuendo a bloccare quegli ascensori sociali che hanno,
virtuosamente, caratterizzato la società italiana sino a qualche decennio fa.
Consiglio a tal proposito la lettura di un
libro di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi dal titolo “Il danno scolastico - La
scuola progressista come macchina della disuguaglianza” editore La Nave di
Teseo.
Dicevo sopra della difficoltà di affrontare il tema della riforma scolastica: sì perché tutti sono d’accordo nella necessità di riformarla, ma ben distanti sono le idee sul percorso da compiere.
E non è
niente di strano, giacché l’idea di scuola e la sua funzione, sono speculari
rispetto all’idea che si ha di società civile.
Inoltre, per ragioni su cui
non è qui il caso di indugiare, la scuola è uno degli ambienti della società
italiana più refrattari a qualsiasi processo di cambiamento.
Naturalmente l’autonomia differenziata nulla
ha a che vedere con il tema della riforma di cui la scuola avrebbe bisogno. E’
anche questo il solito modo di evitare i nodi veri dei problemi, confondendoli
issando qualche bandierina identitaria.
Comunque plaudo
all’atteggiamento del Terzo Polo, aggiungendo che sul tema dell’autonomia
differenziata ho tutt’altra visione rispetto a quella di Calderoli, ritenendo
io che il punto di partenza per affrontare il tema del rapporto fra governo
centrale e governi locali possa utilmente partire dalla riforma del Governo
Renzi, bocciata con il referendum del 2016: bocciatura che naturalmente non
inficia la bontà della proposta; caso mai, molti fatti degli ultimi anni ne
attestano la validità…
Ma tornando all’appello di Colucci, propongo anch’io un articolo di uno dei più noti – ed anche controversi - esponenti della cultura italiana contemporanea, il Prof. Ernesto Galli della Loggia.
Un
articolo che riguarda uno degli aspetti sicuramente molto sottolineato oggi: il
merito.
Questo fantasma, tante volte
evocato, e mai veramente affrontato in questi decenni in cui la scuola, e non
solo essa, è stata governata da coloro che si sono formati durante il “lungo
sessantotto italiano” la cui lotta alla meritocrazia è stata una delle bandiere
più sventolate.
La scuola svalutata e il merito da riscoprire di Ernesto Galli della Loggia
Quel concetto è compreso nella Costituzione così come il sapere è presupposto della convivenza civile
Sicuramente, tanto per cominciare, mostra di conoscere poco la nostra Costituzione che all'articolo 34, parlando dell'istruzione, menziona esplicitamente «i meritevoli»: dovremmo allora dedurne che anche i padri costituenti fossero dei nemici dell'eguaglianza e magari della democrazia?
E come facevano a pensare che si potesse risultare «meritevoli» a scuola — viene pure da chiedersi — se non fossero stati anche convinti che la scuola dovesse porre al centro il merito?
Ma i nemici del merito oltre a conoscere poco la Costituzione sembrano conoscere ancor meno la scuola. Infatti l'attuale scuola dell'eguaglianza che essi intendono difendere non è per nulla tale.
È anzi vero l'opposto. La scuola italiana è in realtà una scuola della diseguaglianza, di una profonda diseguaglianza.
Da tutti i punti di vista gli alunni del Mezzogiorno, ad esempio, godono di condizioni dell'istruzione mediamente di gran lunga inferiori a quelle nel resto del Paese: dallo stato degli edifici scolastici, alle dotazioni degli istituti, alla qualità degli insegnanti.
Così come sempre nel Mezzogiorno — ma senza che nessuno degli apostoli dell'eguaglianza se ne sia mai fatto un problema — sono assai più gravi i dati dell'evasione dell'obbligo scolastico e dell'abbandono: che in una regione come la Sicilia o in certe zone come il centro storico di Napoli raggiungono cifre spaventose.
Ancora: un po' dovunque in Italia, ma in una misura ben più alta nel Sud d'Italia, i dirigenti scolastici hanno l'inveterata e diffusa abitudine di comporre le sezioni secondo evidenti criteri di classe, raggruppando cioè in una sezione — quella con gli insegnanti migliori — tutti gli studenti figli dell'élite locale o comunque appartenenti ai ceti collocati più in alto nella scala sociale.
La verità è che la scuola italiana non è una scuola dell'eguaglianza proprio perché non è una scuola del merito.
Perché da due o tre decenni tutti i fenomeni detti sopra e di conseguenza la grande disparità qualitativa dell'istruzione impartita agli studenti da regione a regione, da sezione a sezione del medesimo istituto, sono di fatto occultati dal generale orientamento alla promozione generale finale.
Perché la diseguaglianza territoriale e classista viene nascosta dietro la cortina fumogena dell'ormai ridicolo rito estivo di esami di licenza finale che dalle Alpi al Lilibeo vedono percentuali di promossi regolarmente intorno al cento per cento.
Tanto ci penserà poi il potere sociale delle singole famiglie a ristabilire le distanze e a mettere le cose a posto.
Ad esempio: un sistema scolastico degno di questo nome, mi chiedo, può ammettere che in nome dell'eguaglianza o di qualunque altra più o meno buona ragione escano dalle sue aule dei quindicenni, come per l'appunto i quindicenni italiani, che per la metà, a stare alle prove Invalsi, non riescono a comprendere il significato di un testo di media difficoltà scritto in italiano?
E perché mai secondo loro ciò accade? Non è finita: come si spiega che l'avvento, una trentina d'anni or sono, di questa concezione dell'istruzione con l'oggettiva forte svalutazione del merito che essa comporta abbia coinciso con la crisi e poi l'arresto definitivo dell'ascensore sociale, cioè della possibilità per le persone provenienti dagli strati inferiori della società di passare a quelli superiori?
È davvero solo un caso?
Nel 1944 l'Italia democratica cancellò dal ministero di viale Trastevere la dizione «educazione nazionale» che aveva introdotto il fascismo e restaurò l'antica dizione «dell'istruzione» proprio a sottolineare come il compito della scuola dovesse essere non già quello di palestra di un qualunque pur lodevole indirizzo di sapore ideologico collettivo (la «nazione», la «democrazia») bensì quello di assicurare l'istruzione.
Nella convinzione sacrosanta che per l'appunto l'istruzione, cioè la conoscenza, il sapere, la cultura siano di per sé — assai più di ogni altra cosa — il presupposto necessario per favorire la civile convivenza, per favorire nei giovani la nascita di sentimenti di benevolenza, di solidarietà, di simpatia verso i propri simili, nonché di rispetto dei diritti e dei doveri stabiliti dal proprio Paese.
E naturalmente, come poi la stessa Italia democratica confermò nella sua Costituzione, l'istruzione comporta di per sé la centralità del merito.
Che il governo Meloni si è solo preoccupato un po' enfaticamente di ribadire.
Con il che, peraltro, rimane naturalmente aperto, apertissimo, il problema di come questo merito debba per così dire essere costruito, di quali ne siano per ogni disciplina i contenuti essenziali, di come gli studenti possano e debbano acquisirlo, nonché il modo più appropriato per valutarlo.
Tutte questioni importanti a definire le quali concorrono l'esperienza preziosa degli insegnanti e le riflessioni di una disciplina che ha il nome per l'appunto di pedagogia.
E sulle quali è giusto attendere al varco il ministro per capire meglio in quale direzione ci si muoverà.
Nel frattempo, però, non sarebbe ora di iniziare sullo stato critico della nostra scuola quella discussione pubblica finalmente seria e approfondita che da troppo tempo è del tutto assente?
L’articolo del Prof. Della Loggia è stato pubblicato sul Corriere della Sera; può anche essere letto sul sito www.fucinaidee.it.
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