La questione giovanile, sia dal punto di vista occupazionale sia sociale, sia da quello dei diritti, si presenta come una delle questioni più gravi di questo Paese. Ma qualche segnale di speranza arriva.
Il commento di Claudia Conte e Luigi Tivelli x formiche.net
Giorni fa si è celebrata la “Giornata mondiale dedicata all’ascensore”, prezioso strumento di elevazione, installato per la prima volta dalla signora Otis nel 1857 a New York. Decisamente una grande innovazione, che la tecnologia ha posto al servizio dei cittadini, migliorandone la vita. Quello di cui parleremo qui, però, è un altro tipo di lift: “l’ascensore sociale”.
Partito nel nostro Paese nei primi anni della ricostruzione postbellica, dopo la parentesi buia del fascismo, l’ascensore sociale ha permesso a milioni di giovani italiani di salire man mano i gradini della scala sociale. Alcuni magari sono stati costretti a spostarsi da certi Paesi del Mezzogiorno fino a Milano o Torino, ma intanto sono saliti a bordo dell’ascensore. Un fenomeno durato più o meno fino a tutti gli anni Sessanta. Poi ha iniziato a rallentare, fino ad arrestare la sua corsa verso i primi anni del 2000.
Dopo gli anni Sessanta, i giovani che man mano provavano a pigiare i bottoni dell’ascensore, si rendevano conto che esso rimaneva gravemente inceppato, fermo al piano terra o, con molte difficoltà, al massimo poteva raggiungere il primo piano. I millennials, invece, non si pongono affatto il problema, non sapendo nemmeno cosa sia. È questa una questione gravissima per una società come quella italiana, in cui i giovani e le giovani sono una risorsa preziosa, anche alla luce dell’andamento della natalità negli ultimi decenni. Questo è un vero e proprio trabocchetto, un trabocchetto demografico, che sarebbe necessario evitare.
La questione giovanile, sia come questione occupazionale e sociale, sia come questione dei diritti, si presenta come una delle questioni più gravi di questo Paese. In relazione ad essa avviene però qualcosa di simile a quello che avviene per la “questione femminile”. Sembra, infatti, che la questione dell’occupazione delle donne, della condizione sociale e della tutela contro la violenza di genere, sia una questione che riguarda solo le donne. Dovrebbe invece riguardare anche gli uomini e tutte le componenti della società. E così la questione giovanile sembra che riguardi solo i giovani. Eppure la storia recente ha smentito la sentenza di Croce per cui l’unico problema dei giovani fosse “diventare magari più vecchi”, ma esiste una specificità forte della questione giovanile. Solo che questa tematica non si può affrontare se non diventa una vera questione nazionale, riguardante tutta la società. È questa la via per superare l’assetto che ha preso la società italiana da tempo, quasi da “società mangia-giovani”.
Eppure nel nostro Paese le risorse ci sarebbero. Sono dei giorni scorsi gli ultimi ranking internazionali delle università dove si vede che grandi università italiane, come La Sapienza di Roma, stanno consolidando e migliorando il loro ranking rispetto agli anni precedenti. Anche molte università private, come la Luiss, hanno scalato molte posizioni. Vediamo da tempo, però, il fenomeno dei molti giovani cervelli che sono dovuti fuggire all’estero per affermarsi. Ciò significa che il nostro sistema universitario (anche se risulta un po’ basso il tasso di iscrizioni e di conseguimento della laurea) regge in modo significativo ma manca un “dopo”.
Diversamente, infatti, si pone la questione della formazione post laurea e per i canali occupazionali. Abbiamo i centri pubblici per l’impiego peggiori d’Europa, che intermediano il 3-4% della domanda di lavoro. Non c’è ancora una legislazione che lasci il giusto spazio alle agenzie private del lavoro. Non esiste quasi, dopo i disastri dei navigator e similari, una forma adeguata di politica attiva del lavoro. L’agenda della questione giovanile si potrebbe integrare con vari altri punti, ma già questi sono sufficienti per avere il senso dell’emergenza in atto.
Qualche speranza viene dal fatto che siamo in presenza di una giovane premier che è cresciuta e si è fatta strada politicamente come leader politico giovanile. C’è una leader del maggior partito di opposizione ancora più giovane, che ha iniziato molto presto la sua attività politica. Non potrebbero trovare qualcosa che le accomuni? La risposta è sì e riguarda proprio l’impegno per la questione giovanile, magari con visioni legittimamente diverse ma possibilmente senza forme di wrestling. Il tentativo di risoluzione del problema potrebbe essere qualcosa che intacchi quella sorta di bipolarismo muscolare che rischia di affermarsi e che non porterebbe a nulla di buono.
Giorni fa si è celebrata la “Giornata mondiale dedicata all’ascensore”, prezioso strumento di elevazione, installato per la prima volta dalla signora Otis nel 1857 a New York. Decisamente una grande innovazione, che la tecnologia ha posto al servizio dei cittadini, migliorandone la vita. Quello di cui parleremo qui, però, è un altro tipo di lift: “l’ascensore sociale”.
Partito nel nostro Paese nei primi anni della ricostruzione postbellica, dopo la parentesi buia del fascismo, l’ascensore sociale ha permesso a milioni di giovani italiani di salire man mano i gradini della scala sociale. Alcuni magari sono stati costretti a spostarsi da certi Paesi del Mezzogiorno fino a Milano o Torino, ma intanto sono saliti a bordo dell’ascensore. Un fenomeno durato più o meno fino a tutti gli anni Sessanta. Poi ha iniziato a rallentare, fino ad arrestare la sua corsa verso i primi anni del 2000.
Dopo gli anni Sessanta, i giovani che man mano provavano a pigiare i bottoni dell’ascensore, si rendevano conto che esso rimaneva gravemente inceppato, fermo al piano terra o, con molte difficoltà, al massimo poteva raggiungere il primo piano. I millennials, invece, non si pongono affatto il problema, non sapendo nemmeno cosa sia. È questa una questione gravissima per una società come quella italiana, in cui i giovani e le giovani sono una risorsa preziosa, anche alla luce dell’andamento della natalità negli ultimi decenni. Questo è un vero e proprio trabocchetto, un trabocchetto demografico, che sarebbe necessario evitare.
La questione giovanile, sia come questione occupazionale e sociale, sia come questione dei diritti, si presenta come una delle questioni più gravi di questo Paese. In relazione ad essa avviene però qualcosa di simile a quello che avviene per la “questione femminile”. Sembra, infatti, che la questione dell’occupazione delle donne, della condizione sociale e della tutela contro la violenza di genere, sia una questione che riguarda solo le donne. Dovrebbe invece riguardare anche gli uomini e tutte le componenti della società. E così la questione giovanile sembra che riguardi solo i giovani. Eppure la storia recente ha smentito la sentenza di Croce per cui l’unico problema dei giovani fosse “diventare magari più vecchi”, ma esiste una specificità forte della questione giovanile. Solo che questa tematica non si può affrontare se non diventa una vera questione nazionale, riguardante tutta la società. È questa la via per superare l’assetto che ha preso la società italiana da tempo, quasi da “società mangia-giovani”.
Eppure nel nostro Paese le risorse ci sarebbero. Sono dei giorni scorsi gli ultimi ranking internazionali delle università dove si vede che grandi università italiane, come La Sapienza di Roma, stanno consolidando e migliorando il loro ranking rispetto agli anni precedenti. Anche molte università private, come la Luiss, hanno scalato molte posizioni. Vediamo da tempo, però, il fenomeno dei molti giovani cervelli che sono dovuti fuggire all’estero per affermarsi. Ciò significa che il nostro sistema universitario (anche se risulta un po’ basso il tasso di iscrizioni e di conseguimento della laurea) regge in modo significativo ma manca un “dopo”.
Diversamente, infatti, si pone la questione della formazione post laurea e per i canali occupazionali. Abbiamo i centri pubblici per l’impiego peggiori d’Europa, che intermediano il 3-4% della domanda di lavoro. Non c’è ancora una legislazione che lasci il giusto spazio alle agenzie private del lavoro. Non esiste quasi, dopo i disastri dei navigator e similari, una forma adeguata di politica attiva del lavoro. L’agenda della questione giovanile si potrebbe integrare con vari altri punti, ma già questi sono sufficienti per avere il senso dell’emergenza in atto.
Qualche speranza viene dal fatto che siamo in presenza di una giovane premier che è cresciuta e si è fatta strada politicamente come leader politico giovanile. C’è una leader del maggior partito di opposizione ancora più giovane, che ha iniziato molto presto la sua attività politica. Non potrebbero trovare qualcosa che le accomuni? La risposta è sì e riguarda proprio l’impegno per la questione giovanile, magari con visioni legittimamente diverse ma possibilmente senza forme di wrestling. Il tentativo di risoluzione del problema potrebbe essere qualcosa che intacchi quella sorta di bipolarismo muscolare che rischia di affermarsi e che non porterebbe a nulla di buono.
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