In un tempo di imperante antipolitica, affermo che la politica è una delle attività umane più nobili e necessarie per la convivenza civile.
Naturalmente occorre
intendersi bene sul senso della politica.
Per questo chiedo soccorso
all'etimologia: il termine "politica" deriva dal greco classico ed è
costituito da due parole: "Polis", la città stato, e
"techne",
tecnica o arte. Quindi la
politica è l'arte - o la tecnica - di amministrazione della Polis, insomma
dello Stato.
Quindi un'attività
fondamentale per la convivenza civile, senza la quale nessuna comunità potrebbe
vivere in modo armonico ed ordinato. Tanto meno la nostra,
stante le complessità delle
società contemporanee.
Infatti Pericle definisce la
politica «l'arte di vivere assieme».
Ed Aristotele: politica"
significa l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, la
determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini
partecipano".
Se poi sia più una scienza o
un'arte, può incuriosire il giudizio di Otto Von Bismarck: "La politica
non è una scienza, come molti signori professori s'immaginano,
ma un'arte."
Ma allora perché oggi è così diffuso il rifiuto della politica?
La risposta va ben articolata
per evitare populistiche generalizzazioni. Ma certo, nel tempo che viviamo, in
Italia ma non solo, credo sia assai palpabile
un processo degenerativo
della politica che ha progressivamente allontanato la gente da essa, ma non
solo, ha creato una diffidenza ed un rigetto, nel
quale si è progressivamente
inoculato il virus del populismo e del sovranismo, estremamente pericolosi per
la tenuta delle istituzioni di democrazia rappresentativa.
Dicevo non solo in Italia, anche se solo di essa mi occupo in queste mie riflessioni.
Pur non intendendo in alcun
modo affrontare il tema della storia della politica, non può sfuggire che
processi di degenerazione di essa sono riscontrabili
sin dai tempi più antichi:
Basti pensare alla storia ateniese, che pur della democrazia è stata la culla,
ed agli scritti di Tucilide che ne denunciano
la degenerazione.
Inoltre vanno considerate le
profonde differenze fra l'esercizio della politica in un sistema autoritario,
rispetto al sistema democratico: insomma il
Principe di Machiavelli è
tratteggiato in uno scenario totalmente diverso da quello in cui opera un
politico in una moderna democrazia liberale quale è,
salvo varie storture, quella italiana.
Se all'uscita dalla seconda
guerra mondiale la politica godeva di una forte fiducia, attestata anche
dall'elevatissima partecipazione al voto, con il trascorrere
dei decenni questa fiducia si
è affievolita, sino a raggiungere gli attuali livelli di guardia. Questa
progressiva sfiducia è anche rintracciabile in frasi
di figure celebri:
Enrico Berlinguer: “I partiti
di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela.”
Dario Fo: "Come esistono
oratori balbuzienti, umoristi tristi, parrucchieri calvi, potrebbero esistere
benissimo anche dei politici onesti."
Roberto Gervaso: "Buon politico è chi sa mentire; grande politico chi finisce col credere alle proprie menzogne."
Ma una idea di politica molto
disinvolta non è certo soltanto un fenomeno dell'oggi. Ne fa fede questa frase
di Otto Von Bismarck: "Non si mente mai così
tanto prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia."
Ma riprendendo il filo del
discorso, quali sono i principali tratti della degenerazione politica
dell'oggi?
Anzitutto una classe politica
sempre più interessata ad autoconservarsi anziché essere realmente
rappresentativa dell'elettorato. Per ragioni ben note,
l'elettorato è stato privato
della possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Ormai da decenni, la
scelta della classe politica, soprattutto a livello
parlamentare ma non solo,
viene fatta da strettissime consorterie di partito, anch'esse prive di una
legittimazione dal basso. Infatti, i partiti si sono
progressivamente trasformati
in entità leaderistiche, in cui il coinvolgimento della base o non esiste, o
laddove esiste è poco più che un vuoto rituale.
In secondo luogo la politica
si sta rivelando sempre più incapace di affrontare le sfide della
contemporaneità, quali la globalizzazione, le migrazioni,
l'innovazione tecnologica e
digitale, i cambiamenti climatici. Partendo dal presupposto che ciò che importa
è la raccolta del consenso, all'elettorato
si cerca di dire ciò che esso
si vuol sentir dire, anche dando sfogo alle peggiori pulsioni populiste, quindi
di pancia più che di testa. Pulsioni che
nei social trovano un
formidabile strumento di diffusione, e nel basso livello culturale
dell'elettorato il più fertile terreno di coltura. E' ovvio che,
posto che poi le promesse si
rivelano irrealistiche, la sfiducia ed il rigetto risulteranno conseguenti.
A proposito della vacuità
delle promesse dei politici, voglio riportare una citazione attribuita al
leader sovietico Nikita Chrušcëv: "Gli uomini politici
sono uguali dappertutto.
Promettono di costruire un ponte anche dove non c’è un fiume."
Chi ha i capelli grigi come me, e ricorda Cruscev, fa un po' fatica ad attribuirgli questa frase; l'ho trovata su Internet e mi è sembrata utile riportarla.
E ancora, i politici sembrano
più interessati alle "mosse" per assicurarsi ruoli personali, anziché
mettere in primo piano l'impegno per la soluzione dei
problemi dell'agenda
politica. Un conto è la "Politica" e altra cosa è il gioco politico.
Si ha la netta sensazione che prevalgano, nelle loro scelte,
questioni di ruoli e di
posizionamento personale, appunto di gioco politico, in luogo della coerenza di
visione politica e di lavoro serio e costante per
l'individuazione delle soluzioni ai problemi.
Intendiamoci bene, come tutte
le attività umane, anche la politica ha i suoi strumenti e le sue strategie. La
ricerca del potere, quando è considerato lo
strumento per il concreto
agire, è deltutto legittimo. Il potere è necessario poiché solo attraverso di
esso, è possibile il possesso degli strumenti per
incidere realmente sulle
scelte. Quindi il problema non è la ricerca del potere, bensì l'uso che ne
viene fatto. Se il potere è finalizzato alla realizzazione
di un progetto politico, è
deltutto legittimo che lo si cerchi; se il potere è invece asservito ad
interessi di carriera personale, allora è un altro paio
di maniche.
Oggi è sempre più dominante
l'impressione che il potere rappresenti uno strumento di conservazione di ruoli
e posizioni personali; non stupisce quindi
il rifiuto sempre crescente
che serpeggia fra la gente.
Naturalmente voglio tenermi
distante da qualsiasi generalizzazione; ma il sentire della gente è questo e,
al di là delle buone intenzioni, non sembra ci
sia una autentica presa di coscienza della situazione.
Una sfiducia che si traduce
in una crescente astensione dal voto che, alle ultime elezioni europee, ha
superato il 50% degli elettori. E' un dato pericoloso,
stante l'affanno in cui si
muovono le democrazie liberal-rappresentative; la democrazia va presidiata con
la partecipazione; la sua caduta non fa che accrescere
i rischi di una sua involuzione.
Un altro pericoloso dato
della crisi è l'assunto populista secondo cui "uno vale uno". In
questi decenni, di progressiva accentuazione di pulsioni antipolitiche,
si è demonizzato il
professionismo politico. Niente di più falso: la politica è un'attività
estremamente impegnativa che richiede studio, costanza, capacità,
sacrificio. Va nettamente
distinta la ricerca di ruoli politici quali mezzi di sussistenza, da un
professionismo fatto di studio, di lavoro, di impegno
nelle varie sedi in cui la
politica viene esercitata.
Va smentita insomma questa
frase qualunquista che su Internet ho trovata attribuita a Roberto Benigni:
"La politica è l’unico mestiere dove non è richiesto
saper fare niente."
Utile la distinzione di Max
Weber: "Ci sono due modi di fare il politico: si può vivere “per” la
politica oppure si può vivere “della” politica."
E ancora il grande sociologo
tedesco: "la politica non è che aspirazione al potere e monopolio
legittimo dell'uso della forza e, per questo, richiede l'operato
di appositi professionisti"
Ed infine l'altro assunto
populista che pretende di contrapporre una società sana ad una classe politica
corrotta (la casta appunto). Niente di più fuorviante.
Sostanzialmente, ogni società
ha la politica ed il governo che si merita. Attribuire l'intera responsabilità
agli altri è il classico mezzuccio italiano
per sottrarsi dalle proprie
responsabilità. Montanelli sagacemente ha scritto: "L’Italia ha la classe
politica che si merita. Siamo sicuri che ne troveremmo
di migliori? E se ne trovassimo, che cosa, quale “popolo” rappresenterebbero?"
ho molto indugiato sulla
"cattiva politica" giacché, credo, che sia lì che vadano ricercate le
principali cause dell'imperante "antipolitica". Credo che
il rigetto della politica
possa essere combattuto con un unico vaccino: la "Buona Politica". E
mi rendo ben conto che l'inversione di tendenza non è semplice,
poiché richiede la messa in
discussione di atteggiamenti e criteri fortemente consolidati.
Tanto difficile che, quasi
sempre, si pone l'accento su aspetti secondari dei problemi, in mancanza del
coraggio e della determinazione necessari per affrontarne
i tratti salienti.
Altra tentazione è quella di
ritenere che i problemi risiedano solo nell'inadeguatezza della nostra
architettura istituzionale.
Posto che sono deltutto
favorevole a riforme istituzionali fatte con criterio e rispondenti ad
obiettivi ben individuati, pongo l'accento sulla necessità
di distinguere con chiarezza
i temi istituzionali da quelli della qualità della politica.
Le due traiettorie sono
complementari e sarebbe illusorio pensare che problemi tanto complessi possano
essere risolti con scorciatoie istituzionali, peggio
ancora se immaginate per ridurre il ruolo di fondamentali istituzioni della democrazia rappresentativa.
In un mio articolo,
intitolato "Obiettivo Democrazia governante: Qualità della politica e
riforme istituzionali", pubblicato su Fucinaidee nel 2023, ho
cercato di approfondire questi temi. Correlato a questo contributo allego il testo di quelle riflessioni.
Quindi rapidamente, quali
possono essere le traiettorie di una nuova "Buona Politica"?
Ridare rappresentatività alla
classe politica ripristinando meccanismi di reale scelta da parte
dell'elettorato;
Individuazione di un
personale politico adeguato, anche professionalmente, sapendo che ciò implica
anche il riconoscimento di un adeguato compenso;
Ed ancora, scelta di un
personale politico che sappia sottrarsi alla "dittatura del presente"
dei sondaggi, e che sappia immaginare una prospettiva di
ampi orizzonti per le sfide
della contemporaneità;
ed infine, scelta di un
personale politico che sappia far buon uso del potere (è da animelle candide
demonizzare l'esercizio del potere), utilizzandolo
non quale strumento di sistemazione personale, ma quale mezzo necessario per dare concretezza alla propria visione politica.
Poche parole sui partiti, che
pur sono uno strumento fondamentale per l'esercizio della democrazia:
superamento degli attuali partiti leaderistici, tornando,
se pur con le diversità
implicite nelle trasformazioni dei tempi, a forze organizzate attorno a leader
e non a padroni legittimati dalla base degli iscritti,
che sappiano riprendere il
loro ruolo di strutture intermedie fra società ed istituzioni, e che riprendano
anche il ruolo di fucine per la formazione della
classe dirigente.
E' questa una illusoria
utopia?
Può anche darsi, ma credo che
questa rappresenti l'unica strada per sconfiggere seriamente le tossine
ammorbanti dell'antipolitica.
Credo che l'unico vaccino
utile sia quello della "Buona Politica". E' una sfida gigantesca che
attende la politica italiana, e non solo quella. Oggi le
democrazie occidentali sono
minacciate sia sul fronte esterno che su quello interno: quest'ultimo, le
pulsioni populiste e antipolitiche, forse ancor più
minaccioso dei fattori
esterni.
Vedremo quale china
prenderanno gli eventi!!!
Documento correlato
Obiettivo Democrazia
governante: riforme istituzionali e qualità della politica
di Paolo Razzuoli
Lucca, 2 agosto 2024
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