"Campo largo" è un'espressione che da qualche tempo ha arricchito il lessico del politichese italiano. Vediamone la definizione, con l'aiuto del dizionario
Treccani:
"campo largo: Progetto
di ampliamento della coalizione di centro-sinistra sia verso forze collocate
più al centro nello schieramento politico, ad esempio
Azione ed Italia Viva, sia
verso forze collocate più a sinistra, Alternativa Verde e Sinistra, o il M5S,
(anche se a proposito di quest'ultimo è più corretto
parlare di populismo anziché
di sinistra).
L'idea presuppone la
costruzione di un campo largo del centrosinistra italiano con l'obiettivo di
unire tutte le forze disponibili per sconfiggere la coalizione
di centro-destra.
L'espressione “Campo largo”,
anche se già alcuni esponenti del Pd ebbero modo di utilizzarla circa quindici
anni or sono, è tornata di attualità con la
Segreteria Pd di Elly
Schlein. è un’espressione di puro politichese che forse oggi conviene tenere
presente perché può tornare utile a capire l'evoluzione
degli scenari prossimi
venturi."
Provo ad articolare alcune
considerazioni, partendo dal presupposto che in politica, costruire alleanze
elettorali che consentano di far vincere le elezioni
è deltutto ovvio e legittimo.
La politica è la tecnica di gestire la cosa pubblica; senza il potere ciò non è
possibile, poiché senza di esso si può certo
fare testimonianza ma non si
può incidere sulla gestione.
Fatta questa premessa,
occorre però andare oltre, cercando di capire se le alleanze elettorali hanno i
requisiti politico-programmatici coerenti con le
sfide da affrontare, oppure
se sono mere aggregazioni aritmetiche, adatte - in caso di vittoria - ad
assicurare ruoli, distribuire incarichi e prebende,
ma non altrettanto per
affrontare i tanti e complessi nodi politici di cui il Paese da decenni attende
le soluzioni.
Ebbene, dagli anni '
"mani pulite", non
si può certo dire che le coalizioni succedutesi al governo del Paese siano
state complessivamente all'altezza del compito.
Su entrambi i versanti,
abbiamo avuto coalizioni formate da forze eterogenee, sia sui temi di politica
interna che sulla politica estera. Forze che, se
pur formalmente alleate,
hanno dato vita ad una forte conflittualità che ha impedito il corretto
funzionamento di una democrazia governante efficace ed
efficiente. Non raramente i
partiti si sono maggiormente impegnati su battaglie identitarie, sacrificando
quell'azione riformatrice di cui il sistema Paese
ha bisogno, e che a parole,
tutti dichiarano di voler intraprendere.
Ma le grandi riforme non
possono prescindere da scenari politici forti e coesi. In assenza di essi, non
resta che la politica di basso profilo e la tecnica
del rinvio, unica alternativa alla rottura della coalizione, come è accaduto nel caso della caduta dei governi Prodi nel 1998 e nel 2008.
Quindi è illusorio pensare di
ridurre la politica ad una sommatoria aritmetica. Non è certamente sommando
forze aventi visioni fortemente divergenti, tanto
in politica interna che
estera, che si può sperare di rilanciare il ruolo dell'Italia nel contesto
internazionale, e di poter fronteggiare gli elementi
di debolezza di un sistema Paese che attende dalla politica una capacità decisionale ormai assente da vari decenni.
Una debolezza aggravata dalle
tossine ammorbanti del populismo, che oggi rappresenta il pericolo maggiore per
la tenuta stessa delle istituzioni democratiche.
Isolare e sconfiggere il
populismo è forse il dato più sfidante a cui è chiamata la politica. Quindi il
tema non può essere ridotto alla sostituzione di
un populismo di un colore con
quello di un altro.
L'obiettivo deve essere
quello di deradicalizzare il sistema mediante l'isolamento delle estreme
massimaliste e populiste, recuperando il ruolo del centro,
vuoi come spazio di
elaborazione politico-culturale, vuoi come capacità di gestione programmatica,
vuoi come fattore di stabilizzazione del sistema e di
corretto funzionamento delle istituzioni di democrazia rappresentativa.
Credo risulti estremamente
difficile pensare che una coalizione che includa - assieme al Pd - Renzi e
Calenda, Fratoianni, Bonelli e Conte, possa trovare
una strategia condivisa per
mettere in campo politiche serie all'altezza dei bisogni. Sono forze che hanno
visioni diverse, in alcune è fortemente presente
la componente populista. Come
si può immaginare che temi quali il rilancio della produttività, serie
politiche attive del lavoro, la riforma della burocrazia,
l'adeguamento del sistema
scolastico e formativo in genere, il riequilibrio delle funzioni dei vari corpi
intermedi, la riforma della giustizia, la riduzione
ed un serio riassetto della
spesa pubblica, una incisiva e coerente presenza italiana negli organismi
internazionali, solo per citarne alcuni, possano
trovare un approccio positivo
da parte di una coalizione fortemente condizionata da spinte contraddittorie?
Ad esempio, come si può conciliare il populismo
sindacale di Landini con la
visione economica di Italia Viva? Ed ancora, come si può conciliare la
separazione delle carriere in magistratura con il populismo
giustizialista di Conte? Come
si può conciliare il sogno di un’Italia modernizzata e liberale con forze in
cui culturalmente dominano i M5S e quelli che
vogliono occupare le case popolari?
Se l'analisi è corretta, il
vero nodo della politica italiana è quello di lasciarsi alle spalle questo
inconcludente bipolarismo. Un bipolarismo che ha
consentito alle coalizioni di
vincere le elezioni ma non di governare. Nel dibattito politico sulla
governabilità, si è posto l'accento sulla necessità
di riforme istituzionali:
tema certamente serio e che va affrontato senza tabù, ma non può essere la
scorciatoia per scansare l'altro grande tema: quello
della qualità della politica.
Occorre prendere
consapevolezza che i tempi stanno cambiando e che una stagione che aveva
suscitato legittime speranze e aspettative, ha esaurita la sua
forza propulsiva. Occorre
creare le condizioni idonee alla nascita di nuove coalizioni, fondate su solide
condivisioni politico-programmatiche, e non esclusivamente
sulla necessità di
sconfiggere qualcuno. Insomma, una politica che sia a favore di qualcosa, e non
come oggi accade, sostanzialmente contro qualcosa e
qualcuno.
Quindi no, grazie al
"campo largo". Il Paese ha bisogno di un "Campo ben
coltivato", che si può ottenere solo rimescolando in profondità l'attuale
scenario
politico italiano. L'esito
dovrà ovviamente essere anche un campo sufficientemente largo, ma il suo
perimetro dovrà essere politico e non aritmetico.
Compito questo di cui possono
farsi carico solo le componenti riformiste, chiamate ad uno straordinario
sforzo di elaborazione e di unità, da cui questo
nuovo campo dovrà prendere le
mosse.
Un "Campo ben
coltivato", sia con piattaforme politico-programmatiche solide e chiare,
sia con un'azione di governo all'altezza delle sfide del tempo che
viviamo.
Aprire una fase nuova della
politica italiana, a partire da una nuova Legge Elettorale di tipo
proporzionale, e con la previsione delle preferenze, per
sottrarre il Parlamento alla nomina delle ristrette gerarchie dei partiti e farne una istituzione veramente rappresentativa della volontà del corpo elettorale.
Non è questo un canto nostalgico, bensì una capacità di lettura della storia che cambia.
E' questa una utopia? Ora
potrebbe sembrare, ma la storia ci insegna che di tanto in tanto accadono
eventi improvvisi ed imprevisti. I tornanti della storia
sono misteriosi. La storia
premia il coraggio e la coerenza, così come punisce coloro che non riescono a
guardare oltre il proprio naso.
La scommessa dei riformisti
dovrà essere quella di saper guardare in avanti, oltrepassando gli orizzonti
dell'immediatezza. Occorre che trovino il coraggio
di immaginare traiettorie di medio-lungo periodo, anche sapendo incassare eventuali sconfitte e delusioni.
Concludo queste mie
riflessioni riportando uno stralcio di un'intervista rilasciata dal Prof.
Giuseppe Benedetto - Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
- ad Aldo Torchiaro, per Il Riformista. Mi pare contenga spunti interessanti per tracciare la rotta su cui il riformismo potrà incanalarsi:
Cosa vede, per riordinare il
sistema elettorale?
«Germania, Germania,
Germania. Un sistema elettorale solido che garantisce il massimo della
rappresentatività e al tempo stesso della stabilità. Proporzionale
con sbarramento al 5%».
Un sistema alla tedesca anche
per dare ai partiti una identità più chiara?
«Riferiamoci alle famiglie europee, altrimenti si crea confusione. Conservatori, popolari, liberali, socialisti, verdi e sinistra radicale».
I riformisti dove stanno?
«In Europa si chiamano liberali. Chiamiamoli liberaldemocratici».
C’è spazio elettorale per
loro?
«Sì, lo spazio è quello
verificato tra le politiche e le europee, il 7-8%. Farebbe un errore colossale
chi ritenesse che quell’elettorato si può spostare
su Forza Italia o sul Pd. Se
non diamo a quegli elettori un’offerta politica, si rifugeranno
nell’astensione. Sono l’elettorato più consolidato: quelli
che nella Prima Repubblica votavano Psi, Pri e per i Radicali erano la stessa fetta. Un elettorato, mi consenta di dire, colto».
Può apparire elitario.
Diciamo selettivo, esigente?
«Un elettorato che non accetta di andare a destra, né a sinistra».
Né con il centrodestra, né
con il centrosinistra?
«Queste due famiglie non
esistono in natura. Cos’è il centrosinistra, negli altri paesi? E il
centrodestra? Sono invenzioni del berlusconismo. Falsi storici
che ci portiamo dietro da trent’anni».
Dunque il centro esiste. Può
esistere autonomamente?
«O esiste autonomamente o non
esiste. Poi non è che il centro da solo può avere il 50% dei voti, e d’altronde
nel mondo dove li ha? Può presentarsi alle
elezioni e prendere i voti,
poi deciderà con chi governare. Si è sempre fatto così alle elezioni tedesche,
i liberali di Fdp hanno fatto la loro campagna,
preso i loro voti e poi
verificato di essere più compatibili con il programma di governo al quale era
disponibile Scholz, del Spd. Così avviene nelle democrazie
europee».
Non va annunciato prima con
chi ci si allea?
«Le risulta che in Spagna,
Francia, Germania si precostituiscano le alleanze e poi si va a votare? Avviene
il contrario, come è logico. Ciascuna sigla
dice perché essere votata e dal giorno dopo i partiti, dopo essersi pesati, si parlano per capire se possono esistere convergenze».
Lucca, 23 agosto 2024
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