venerdì 23 agosto 2024

"Campo largo"? Meglio "Campo ben coltivato" di Paolo Razzuoli

"Campo largo" è un'espressione che da qualche tempo ha arricchito il lessico del politichese italiano. Vediamone la definizione, con l'aiuto del dizionario

Treccani:

"campo largo: Progetto di ampliamento della coalizione di centro-sinistra sia verso forze collocate più al centro nello schieramento politico, ad esempio

Azione ed Italia Viva, sia verso forze collocate più a sinistra, Alternativa Verde e Sinistra, o il M5S, (anche se a proposito di quest'ultimo è più corretto

parlare di populismo anziché di sinistra).

L'idea presuppone la costruzione di un campo largo del centrosinistra italiano con l'obiettivo di unire tutte le forze disponibili per sconfiggere la coalizione

di centro-destra.

L'espressione “Campo largo”, anche se già alcuni esponenti del Pd ebbero modo di utilizzarla circa quindici anni or sono, è tornata di attualità con la

Segreteria Pd di Elly Schlein. è un’espressione di puro politichese che forse oggi conviene tenere presente perché può tornare utile a capire l'evoluzione

degli scenari prossimi venturi."

 

Provo ad articolare alcune considerazioni, partendo dal presupposto che in politica, costruire alleanze elettorali che consentano di far vincere le elezioni

è deltutto ovvio e legittimo. La politica è la tecnica di gestire la cosa pubblica; senza il potere ciò non è possibile, poiché senza di esso si può certo

fare testimonianza ma non si può incidere sulla gestione.

Fatta questa premessa, occorre però andare oltre, cercando di capire se le alleanze elettorali hanno i requisiti politico-programmatici coerenti con le

sfide da affrontare, oppure se sono mere aggregazioni aritmetiche, adatte - in caso di vittoria - ad assicurare ruoli, distribuire incarichi e prebende,

ma non altrettanto per affrontare i tanti e complessi nodi politici di cui il Paese da decenni attende le soluzioni.

 

Ebbene, dagli anni '90, in cui si è cercato di costruire un bipolarismo peraltro nato frettolosamente nella temperie del golpe mediatico-giudiziario di

"mani pulite", non si può certo dire che le coalizioni succedutesi al governo del Paese siano state complessivamente all'altezza del compito.

Su entrambi i versanti, abbiamo avuto coalizioni formate da forze eterogenee, sia sui temi di politica interna che sulla politica estera. Forze che, se

pur formalmente alleate, hanno dato vita ad una forte conflittualità che ha impedito il corretto funzionamento di una democrazia governante efficace ed

efficiente. Non raramente i partiti si sono maggiormente impegnati su battaglie identitarie, sacrificando quell'azione riformatrice di cui il sistema Paese

ha bisogno, e che a parole, tutti dichiarano di voler intraprendere.

 

Ma le grandi riforme non possono prescindere da scenari politici forti e coesi. In assenza di essi, non resta che la politica di basso profilo e la tecnica

del rinvio, unica alternativa alla rottura della coalizione, come è accaduto nel caso della caduta dei governi Prodi nel 1998 e nel 2008.

Quindi è illusorio pensare di ridurre la politica ad una sommatoria aritmetica. Non è certamente sommando forze aventi visioni fortemente divergenti, tanto

in politica interna che estera, che si può sperare di rilanciare il ruolo dell'Italia nel contesto internazionale, e di poter fronteggiare gli elementi

di debolezza di un sistema Paese che attende dalla politica una capacità decisionale ormai assente da vari decenni.

Una debolezza aggravata dalle tossine ammorbanti del populismo, che oggi rappresenta il pericolo maggiore per la tenuta stessa delle istituzioni democratiche.

Isolare e sconfiggere il populismo è forse il dato più sfidante a cui è chiamata la politica. Quindi il tema non può essere ridotto alla sostituzione di

un populismo di un colore con quello di un altro.

L'obiettivo deve essere quello di deradicalizzare il sistema mediante l'isolamento delle estreme massimaliste e populiste, recuperando il ruolo del centro,

vuoi come spazio di elaborazione politico-culturale, vuoi come capacità di gestione programmatica, vuoi come fattore di stabilizzazione del sistema e di

corretto funzionamento delle istituzioni di democrazia rappresentativa.

Credo risulti estremamente difficile pensare che una coalizione che includa - assieme al Pd - Renzi e Calenda, Fratoianni, Bonelli e Conte, possa trovare

una strategia condivisa per mettere in campo politiche serie all'altezza dei bisogni. Sono forze che hanno visioni diverse, in alcune è fortemente presente

la componente populista. Come si può immaginare che temi quali il rilancio della produttività, serie politiche attive del lavoro, la riforma della burocrazia,

l'adeguamento del sistema scolastico e formativo in genere, il riequilibrio delle funzioni dei vari corpi intermedi, la riforma della giustizia, la riduzione

ed un serio riassetto della spesa pubblica, una incisiva e coerente presenza italiana negli organismi internazionali, solo per citarne alcuni, possano

trovare un approccio positivo da parte di una coalizione fortemente condizionata da spinte contraddittorie? Ad esempio, come si può conciliare il populismo

sindacale di Landini con la visione economica di Italia Viva? Ed ancora, come si può conciliare la separazione delle carriere in magistratura con il populismo

giustizialista di Conte? Come si può conciliare il sogno di un’Italia modernizzata e liberale con forze in cui culturalmente dominano i M5S e quelli che

vogliono occupare le case popolari?

Se l'analisi è corretta, il vero nodo della politica italiana è quello di lasciarsi alle spalle questo inconcludente bipolarismo. Un bipolarismo che ha

consentito alle coalizioni di vincere le elezioni ma non di governare. Nel dibattito politico sulla governabilità, si è posto l'accento sulla necessità

di riforme istituzionali: tema certamente serio e che va affrontato senza tabù, ma non può essere la scorciatoia per scansare l'altro grande tema: quello

della qualità della politica.

Occorre prendere consapevolezza che i tempi stanno cambiando e che una stagione che aveva suscitato legittime speranze e aspettative, ha esaurita la sua

forza propulsiva. Occorre creare le condizioni idonee alla nascita di nuove coalizioni, fondate su solide condivisioni politico-programmatiche, e non esclusivamente

sulla necessità di sconfiggere qualcuno. Insomma, una politica che sia a favore di qualcosa, e non come oggi accade, sostanzialmente contro qualcosa e

qualcuno.

 

Quindi no, grazie al "campo largo". Il Paese ha bisogno di un "Campo ben coltivato", che si può ottenere solo rimescolando in profondità l'attuale scenario

politico italiano. L'esito dovrà ovviamente essere anche un campo sufficientemente largo, ma il suo perimetro dovrà essere politico e non aritmetico.

Compito questo di cui possono farsi carico solo le componenti riformiste, chiamate ad uno straordinario sforzo di elaborazione e di unità, da cui questo

nuovo campo dovrà prendere le mosse.

Un "Campo ben coltivato", sia con piattaforme politico-programmatiche solide e chiare, sia con un'azione di governo all'altezza delle sfide del tempo che

viviamo.

Aprire una fase nuova della politica italiana, a partire da una nuova Legge Elettorale di tipo proporzionale, e con la previsione delle preferenze, per

sottrarre il Parlamento alla nomina delle ristrette gerarchie dei partiti e farne una istituzione veramente rappresentativa della volontà del corpo elettorale.

Non è questo un canto nostalgico, bensì una capacità di lettura della storia che cambia.

E' questa una utopia? Ora potrebbe sembrare, ma la storia ci insegna che di tanto in tanto accadono eventi improvvisi ed imprevisti. I tornanti della storia

sono misteriosi. La storia premia il coraggio e la coerenza, così come punisce coloro che non riescono a guardare oltre il proprio naso.

La scommessa dei riformisti dovrà essere quella di saper guardare in avanti, oltrepassando gli orizzonti dell'immediatezza. Occorre che trovino il coraggio

di immaginare traiettorie di medio-lungo periodo, anche sapendo incassare eventuali sconfitte e delusioni.

Concludo queste mie riflessioni riportando uno stralcio di un'intervista rilasciata dal Prof. Giuseppe Benedetto - Presidente della Fondazione Luigi Einaudi

- ad Aldo Torchiaro, per Il Riformista. Mi pare contenga spunti interessanti per tracciare la rotta su cui il riformismo potrà incanalarsi:

Cosa vede, per riordinare il sistema elettorale?

«Germania, Germania, Germania. Un sistema elettorale solido che garantisce il massimo della rappresentatività e al tempo stesso della stabilità. Proporzionale

con sbarramento al 5%».

Un sistema alla tedesca anche per dare ai partiti una identità più chiara?

«Riferiamoci alle famiglie europee, altrimenti si crea confusione. Conservatori, popolari, liberali, socialisti, verdi e sinistra radicale».

I riformisti dove stanno?

«In Europa si chiamano liberali. Chiamiamoli liberaldemocratici».

C’è spazio elettorale per loro?

«Sì, lo spazio è quello verificato tra le politiche e le europee, il 7-8%. Farebbe un errore colossale chi ritenesse che quell’elettorato si può spostare

su Forza Italia o sul Pd. Se non diamo a quegli elettori un’offerta politica, si rifugeranno nell’astensione. Sono l’elettorato più consolidato: quelli

che nella Prima Repubblica votavano Psi, Pri e per i Radicali erano la stessa fetta. Un elettorato, mi consenta di dire, colto».

Può apparire elitario. Diciamo selettivo, esigente?

«Un elettorato che non accetta di andare a destra, né a sinistra».

Né con il centrodestra, né con il centrosinistra?

«Queste due famiglie non esistono in natura. Cos’è il centrosinistra, negli altri paesi? E il centrodestra? Sono invenzioni del berlusconismo. Falsi storici

che ci portiamo dietro da trent’anni».

Dunque il centro esiste. Può esistere autonomamente?

«O esiste autonomamente o non esiste. Poi non è che il centro da solo può avere il 50% dei voti, e d’altronde nel mondo dove li ha? Può presentarsi alle

elezioni e prendere i voti, poi deciderà con chi governare. Si è sempre fatto così alle elezioni tedesche, i liberali di Fdp hanno fatto la loro campagna,

preso i loro voti e poi verificato di essere più compatibili con il programma di governo al quale era disponibile Scholz, del Spd. Così avviene nelle democrazie

europee».

Non va annunciato prima con chi ci si allea?

«Le risulta che in Spagna, Francia, Germania si precostituiscano le alleanze e poi si va a votare? Avviene il contrario, come è logico. Ciascuna sigla

dice perché essere votata e dal giorno dopo i partiti, dopo essersi pesati, si parlano per capire se possono esistere convergenze».

Lucca, 23 agosto 2024




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