venerdì 23 agosto 2024

"Campo largo"? Meglio "Campo ben coltivato" di Paolo Razzuoli

"Campo largo" è un'espressione che da qualche tempo ha arricchito il lessico del politichese italiano. Vediamone la definizione, con l'aiuto del dizionario

Treccani:

"campo largo: Progetto di ampliamento della coalizione di centro-sinistra sia verso forze collocate più al centro nello schieramento politico, ad esempio

Azione ed Italia Viva, sia verso forze collocate più a sinistra, Alternativa Verde e Sinistra, o il M5S, (anche se a proposito di quest'ultimo è più corretto

parlare di populismo anziché di sinistra).

L'idea presuppone la costruzione di un campo largo del centrosinistra italiano con l'obiettivo di unire tutte le forze disponibili per sconfiggere la coalizione

di centro-destra.

L'espressione “Campo largo”, anche se già alcuni esponenti del Pd ebbero modo di utilizzarla circa quindici anni or sono, è tornata di attualità con la

Segreteria Pd di Elly Schlein. è un’espressione di puro politichese che forse oggi conviene tenere presente perché può tornare utile a capire l'evoluzione

degli scenari prossimi venturi."

 

Provo ad articolare alcune considerazioni, partendo dal presupposto che in politica, costruire alleanze elettorali che consentano di far vincere le elezioni

è deltutto ovvio e legittimo. La politica è la tecnica di gestire la cosa pubblica; senza il potere ciò non è possibile, poiché senza di esso si può certo

fare testimonianza ma non si può incidere sulla gestione.

Fatta questa premessa, occorre però andare oltre, cercando di capire se le alleanze elettorali hanno i requisiti politico-programmatici coerenti con le

sfide da affrontare, oppure se sono mere aggregazioni aritmetiche, adatte - in caso di vittoria - ad assicurare ruoli, distribuire incarichi e prebende,

ma non altrettanto per affrontare i tanti e complessi nodi politici di cui il Paese da decenni attende le soluzioni.

 

Ebbene, dagli anni '90, in cui si è cercato di costruire un bipolarismo peraltro nato frettolosamente nella temperie del golpe mediatico-giudiziario di

"mani pulite", non si può certo dire che le coalizioni succedutesi al governo del Paese siano state complessivamente all'altezza del compito.

Su entrambi i versanti, abbiamo avuto coalizioni formate da forze eterogenee, sia sui temi di politica interna che sulla politica estera. Forze che, se

pur formalmente alleate, hanno dato vita ad una forte conflittualità che ha impedito il corretto funzionamento di una democrazia governante efficace ed

efficiente. Non raramente i partiti si sono maggiormente impegnati su battaglie identitarie, sacrificando quell'azione riformatrice di cui il sistema Paese

ha bisogno, e che a parole, tutti dichiarano di voler intraprendere.

 

Ma le grandi riforme non possono prescindere da scenari politici forti e coesi. In assenza di essi, non resta che la politica di basso profilo e la tecnica

del rinvio, unica alternativa alla rottura della coalizione, come è accaduto nel caso della caduta dei governi Prodi nel 1998 e nel 2008.

Quindi è illusorio pensare di ridurre la politica ad una sommatoria aritmetica. Non è certamente sommando forze aventi visioni fortemente divergenti, tanto

in politica interna che estera, che si può sperare di rilanciare il ruolo dell'Italia nel contesto internazionale, e di poter fronteggiare gli elementi

di debolezza di un sistema Paese che attende dalla politica una capacità decisionale ormai assente da vari decenni.

Una debolezza aggravata dalle tossine ammorbanti del populismo, che oggi rappresenta il pericolo maggiore per la tenuta stessa delle istituzioni democratiche.

Isolare e sconfiggere il populismo è forse il dato più sfidante a cui è chiamata la politica. Quindi il tema non può essere ridotto alla sostituzione di

un populismo di un colore con quello di un altro.

L'obiettivo deve essere quello di deradicalizzare il sistema mediante l'isolamento delle estreme massimaliste e populiste, recuperando il ruolo del centro,

vuoi come spazio di elaborazione politico-culturale, vuoi come capacità di gestione programmatica, vuoi come fattore di stabilizzazione del sistema e di

corretto funzionamento delle istituzioni di democrazia rappresentativa.

Credo risulti estremamente difficile pensare che una coalizione che includa - assieme al Pd - Renzi e Calenda, Fratoianni, Bonelli e Conte, possa trovare

una strategia condivisa per mettere in campo politiche serie all'altezza dei bisogni. Sono forze che hanno visioni diverse, in alcune è fortemente presente

la componente populista. Come si può immaginare che temi quali il rilancio della produttività, serie politiche attive del lavoro, la riforma della burocrazia,

l'adeguamento del sistema scolastico e formativo in genere, il riequilibrio delle funzioni dei vari corpi intermedi, la riforma della giustizia, la riduzione

ed un serio riassetto della spesa pubblica, una incisiva e coerente presenza italiana negli organismi internazionali, solo per citarne alcuni, possano

trovare un approccio positivo da parte di una coalizione fortemente condizionata da spinte contraddittorie? Ad esempio, come si può conciliare il populismo

sindacale di Landini con la visione economica di Italia Viva? Ed ancora, come si può conciliare la separazione delle carriere in magistratura con il populismo

giustizialista di Conte? Come si può conciliare il sogno di un’Italia modernizzata e liberale con forze in cui culturalmente dominano i M5S e quelli che

vogliono occupare le case popolari?

Se l'analisi è corretta, il vero nodo della politica italiana è quello di lasciarsi alle spalle questo inconcludente bipolarismo. Un bipolarismo che ha

consentito alle coalizioni di vincere le elezioni ma non di governare. Nel dibattito politico sulla governabilità, si è posto l'accento sulla necessità

di riforme istituzionali: tema certamente serio e che va affrontato senza tabù, ma non può essere la scorciatoia per scansare l'altro grande tema: quello

della qualità della politica.

Occorre prendere consapevolezza che i tempi stanno cambiando e che una stagione che aveva suscitato legittime speranze e aspettative, ha esaurita la sua

forza propulsiva. Occorre creare le condizioni idonee alla nascita di nuove coalizioni, fondate su solide condivisioni politico-programmatiche, e non esclusivamente

sulla necessità di sconfiggere qualcuno. Insomma, una politica che sia a favore di qualcosa, e non come oggi accade, sostanzialmente contro qualcosa e

qualcuno.

 

Quindi no, grazie al "campo largo". Il Paese ha bisogno di un "Campo ben coltivato", che si può ottenere solo rimescolando in profondità l'attuale scenario

politico italiano. L'esito dovrà ovviamente essere anche un campo sufficientemente largo, ma il suo perimetro dovrà essere politico e non aritmetico.

Compito questo di cui possono farsi carico solo le componenti riformiste, chiamate ad uno straordinario sforzo di elaborazione e di unità, da cui questo

nuovo campo dovrà prendere le mosse.

Un "Campo ben coltivato", sia con piattaforme politico-programmatiche solide e chiare, sia con un'azione di governo all'altezza delle sfide del tempo che

viviamo.

Aprire una fase nuova della politica italiana, a partire da una nuova Legge Elettorale di tipo proporzionale, e con la previsione delle preferenze, per

sottrarre il Parlamento alla nomina delle ristrette gerarchie dei partiti e farne una istituzione veramente rappresentativa della volontà del corpo elettorale.

Non è questo un canto nostalgico, bensì una capacità di lettura della storia che cambia.

E' questa una utopia? Ora potrebbe sembrare, ma la storia ci insegna che di tanto in tanto accadono eventi improvvisi ed imprevisti. I tornanti della storia

sono misteriosi. La storia premia il coraggio e la coerenza, così come punisce coloro che non riescono a guardare oltre il proprio naso.

La scommessa dei riformisti dovrà essere quella di saper guardare in avanti, oltrepassando gli orizzonti dell'immediatezza. Occorre che trovino il coraggio

di immaginare traiettorie di medio-lungo periodo, anche sapendo incassare eventuali sconfitte e delusioni.

Concludo queste mie riflessioni riportando uno stralcio di un'intervista rilasciata dal Prof. Giuseppe Benedetto - Presidente della Fondazione Luigi Einaudi

- ad Aldo Torchiaro, per Il Riformista. Mi pare contenga spunti interessanti per tracciare la rotta su cui il riformismo potrà incanalarsi:

Cosa vede, per riordinare il sistema elettorale?

«Germania, Germania, Germania. Un sistema elettorale solido che garantisce il massimo della rappresentatività e al tempo stesso della stabilità. Proporzionale

con sbarramento al 5%».

Un sistema alla tedesca anche per dare ai partiti una identità più chiara?

«Riferiamoci alle famiglie europee, altrimenti si crea confusione. Conservatori, popolari, liberali, socialisti, verdi e sinistra radicale».

I riformisti dove stanno?

«In Europa si chiamano liberali. Chiamiamoli liberaldemocratici».

C’è spazio elettorale per loro?

«Sì, lo spazio è quello verificato tra le politiche e le europee, il 7-8%. Farebbe un errore colossale chi ritenesse che quell’elettorato si può spostare

su Forza Italia o sul Pd. Se non diamo a quegli elettori un’offerta politica, si rifugeranno nell’astensione. Sono l’elettorato più consolidato: quelli

che nella Prima Repubblica votavano Psi, Pri e per i Radicali erano la stessa fetta. Un elettorato, mi consenta di dire, colto».

Può apparire elitario. Diciamo selettivo, esigente?

«Un elettorato che non accetta di andare a destra, né a sinistra».

Né con il centrodestra, né con il centrosinistra?

«Queste due famiglie non esistono in natura. Cos’è il centrosinistra, negli altri paesi? E il centrodestra? Sono invenzioni del berlusconismo. Falsi storici

che ci portiamo dietro da trent’anni».

Dunque il centro esiste. Può esistere autonomamente?

«O esiste autonomamente o non esiste. Poi non è che il centro da solo può avere il 50% dei voti, e d’altronde nel mondo dove li ha? Può presentarsi alle

elezioni e prendere i voti, poi deciderà con chi governare. Si è sempre fatto così alle elezioni tedesche, i liberali di Fdp hanno fatto la loro campagna,

preso i loro voti e poi verificato di essere più compatibili con il programma di governo al quale era disponibile Scholz, del Spd. Così avviene nelle democrazie

europee».

Non va annunciato prima con chi ci si allea?

«Le risulta che in Spagna, Francia, Germania si precostituiscano le alleanze e poi si va a votare? Avviene il contrario, come è logico. Ciascuna sigla

dice perché essere votata e dal giorno dopo i partiti, dopo essersi pesati, si parlano per capire se possono esistere convergenze».

Lucca, 23 agosto 2024




martedì 6 agosto 2024

Luigi Marattin - Congresso e non solo - Newsletter n.49 22 luglio - 5 agosto

I Riformisti x TTR che hanno deciso di comunicare con il nuovo nome "Riformisti al Centro" condividono molte cose che da settimane sta dicendo Luigi Marattin insieme a molte centinaia di dirigenti locali di Italia Viva e ai giovani della Scuola, che Matteo ha realizzato.

Pubblichiamo integralmente l'ultima newsletter di Luigi, che ha molti richiami che non potranno essere attivati, ma che potete trovare sui Social.

francesco colucci, Riformisti al Centro 


Ciao a tutti,

siamo all’ultima newsletter prima di qualche giorno di pausa agostana. Queste
ultime due settimane sono state intense e con tanti argomenti. Andiamo per ordine.


In Italia Viva continua lo “stato di agitazione” aperto dalla decisione annunciata dal Presidente del partito Matteo Renzi sul Corriere della Sera il 19 luglio, cioè che d’ora in poi la nostra comunità politica sarà schierata col centrosinistra sia a livello nazionale che in tutte le elezioni locali.


Come sapete, non ho trovato corretto che una decisione del genere (che contraddice completamente non solo quello che Matteo ha detto fino al giorno prima, non solo la nostra posizione politica degli ultimi cinque anni ma anche il mandato con cui Matteo è stato eletto al primo – e unico – congresso di Italia Viva neanche nove mesi fa) venga presa senza far esprimere la comunità politica di Italia Viva.


Un partito che fa così non è una comunità politica, ma una proprietà privata di
qualcuno che ne dispone a piacimento e non tollera - nei fatti - che opinioni diverse vengano espresse e discusse.


Questa stessa posizione – che condanna le scelte fatte in questo modo e chiede semplicemente di poter consultare gli iscritti - è stata espressa, in modo indipendente dalla mia, anche da circa 270 dirigenti di Italia Viva (tra presidenti provinciali, metropolitani, coordinatori di zona, membri di cabina di regia e amministratori locali) e 100 giovani delle scuole di formazione che abbiamo svolto in questi anni: trovate entrambi i documenti qui e qui , se vi va di leggerli e prenderli in considerazione. 

Tra l’altro, dopo questo weekend, mi sembra che le firme dei presidenti provinciali siano addirittura aumentate! 


Se ci fosse modo di discutere serenamente, si potrebbe dar voce a chi non è
convinto che la strada migliore sia l’alleanza col centrosinistra: semplicemente perché sembra davvero complicato stringere un patto per il governo del Paese (si, quando ci si candida non lo si fa per trovare il posto in Parlamento a qualcuno, ma per cambiare il Paese) con chi ha opinioni radicalmente opposte alle nostre su fisco, welfare, energia, ambiente, politiche di sviluppo, giustizia, politica estera e praticamente ogni altra dimensione della vita pubblica.  

 

Anche perché – e questo forse non è stato sufficientemente considerato – non è poi così pacifico che da quella parte muoiano dalla voglia di averci: guardate ad esempio qui un sondaggio condotto dall’istituto di ricerca di Antonio Noto, che dovrebbe quantomeno indurre ad una riflessione. 


Io ad esempio la penso in modo diverso e… a settembre su questo ci sarà qualche novità!

 

In ogni caso, potete se volete recuperare questi (ed altri concetti) in queste mie due interviste a La Stampa  e Repubblica, in questa a Zapping - Radio1 e in queste dichiarazioni ai giornalisti fuori da Montecitorio.


In tutte queste iniziative sono stato sempre attento a non usare mai nessuna parola di attacco personale nei confronti di nessuno: qui si parla di politica, non di quello che si pensa di questa o quella persona. Anche perché persino qualora le strade si dividano, non c’è motivo per attaccare o insultare le persone con cui hai condiviso 15 anni di strada e con cui, comunque vada, rimarranno ricordi splendidi.


La reazione però non è stata dello stesso livello. Sui social qualche persona vera e decine di profili finti predisposti da chi evidentemente sognava di lavorare per l’ufficio comunicazione del M5S ha iniziato a insultare pesantemente sia me (se n’è accorto Il Tempo qui) che i dirigenti territoriali che avevano ritenuto di chiedere la possibilità di discutere. 

 

Gli insulti a me vanno bene, non mi preoccupano. Ma aggredire in questo modo, anche se con profili anonimi e finti,  militanti e dirigenti di base  che si sono spaccati la schiena anche per far prendere a qualcuno le millemila famigerate preferenze ed hanno il solo torto di chiedere una discussione ampia è un qualcosa che davvero lascia perplessi. 


E dal Presidente nazionale c’è stata solo una lettera molto nervosa – e me ne
dispiace sinceramente – in cui in pratica dice che decide lui e basta, e gli altri è meglio che stiano zitti perché lui in passato li ha candidati in collegi sicuri, li ha fatti diventare presidenti di commissione. Quindi “zitti e ringraziate”, e basta.


Come ebbi già modo di dire nel documento politico che presentai allo scorso (primo e unico) congresso di Italia Viva nell’ottobre 2023, penso che una comunità politica che si regge sul rapporto di subordinazione e eterno riconoscimento al Capo che ti ha, nella sua infinita bontà, concesso  di avere qualche ruolo non sia una comunità sana. Il legame che dovrebbe reggere una comunità non è questo, ma la comune visione di società e il rispetto reciproco. Verso il leader, ma anche verso chiunque altro, soprattutto chi ha un’opinione diversa. Altrimenti più che una comunità politica sembra una comunità religiosa. 


In ogni caso, vedremo alla ripresa dopo le ferie. Sempre con serenità e senza mai offendere nessuno.

 L’argomento che viene usato molto in queste settimane (“l’Assemblea Nazionale del 28 settembre è sovrana, deciderà in autonomia!”) è purtroppo non corretto. Se il Presidente non vuole il Congresso – come ha chiarito in più occasioni, rimangiandosi quanto dichiarato fino a pochi giorni prima – l’Assemblea non ha modo di indire un congresso a meno di non sfiduciare il Presidente. Che penso non sia l’obiettivo di nessuno.

 

Il modo per rendere davvero sovrana l’Assemblea Nazionale invece sarebbe spaventosamente semplice: il Presidente annuncia le sue "dimissioni tecniche" 

 

In quel modo l’Assemblea ha due scelte:


a) Indice un Congresso in cui far esprimere tutti gli iscritti sulla nuova linea
politica
b) Non considera necessario il Congresso e si attribuisce il diritto di decidere per conto di tutto il partito: allora, se vuole, può rieleggere il Presidente dimissionario.


Naturalmente l’opzione b) – sebbene, questa sì, perfettamente legittima a norma di statuto – sarebbe politicamente molto strana….non solo perché, come detto più volte, una scelta strategica che impegna il partito per anni non può che essere presa dagli iscritti, ma anche perché l’Assemblea Nazionale non è stata eletta, ma nominata dal Presidente stesso….
 

Ma passiamo ad altro. Era ora, lo so….Ma non certo perché quanto detto finora rappresenti un inutile orpello o un fastidio. Certo immagino sia così per chi si aspetta sempre e soltanto un semplice  “signorsì” dopo ogni parola; ma quando si fa politica  il modo in cui una comunità sta insieme è fondamentale. Tanto quanto le grandi strategie mondiali e planetarie.


Per il secondo anno consecutivo sono stato invitato alla festa della Lega in Romagna per un dibattito con il loro capogruppo alla Camera Riccardo Molinari. 
Un dibattito civile e di merito, tra opinioni diverse. Come dovrebbe essere in uno spazio pubblico che mira alla crescita, e non alla distruzione.


Qui potete trovare un paio di considerazione sul tema della ZES unica ma soprattutto sull’approccio da pubblicità ingannevole che ha questo governo su un tema importantissimo come quello delle tasse e delle piccole imprese.


Sempre a proposito di questo argomento qui potete trovare la mia dichiarazione di voto, a nome di Italia Viva, sul consuntivo 2023 e assestamento di bilancio 2024.

Il 25 luglio invece sono stato ospite di Sky Economia dove abbiamo parlato di
PNRR, mercati finanziari e crescita e concordato preventivo biennale. Ospite insieme a me c’era il sottosegretario Leghista Freni al quale ho fatto fatto una semplice domanda, a fronte del suo inaspettato liberismo visto il suo partito di appartenenza.
La trovate qua.


Nel frattempo sono iniziate le Olimpiadi, con il loro bel carico di polemiche. E una punta di amarezza. Queste Olimpiadi si sarebbero potute svolgere a Roma se il M5S con il suo populismo non l’avesse impedito.

Per le polemiche, soprattutto riguardanti la pugile algerina, vi rimando a questo mio tweet qua ​ ispiratomi dall’intervento di un sottosegretario di Forza Italia che sostanzialmente dice ai suoi colleghi di maggioranza “basta sciocchezze”.


Per chi ha continuato a seguire il dibattito parlamentare, nonostante il caldo che invita giustamente a fare altro, un altro tema che ha tenuto banco è “l’abolizione del redditometro”. Qui e qui vi dico come stanno realmente le cose e vi spiego perché al riguardo Lega e Fratelli d’Italia meriterebbero una multa al pari di quella ricevuta da Chiara Ferragni. 

 

Piccola nota di colore: nei giorni scorsi alla Camera si discutevano gli ordini del giorno, e chi mi conosce sa bene quanto io poco apprezzi questa pratica (usando un eufemismo). Ad un certo punto però sono dovuto intervenire anche io stimolato dall’intervento della collega grillina Appendino. Non vi voglio fare spoiler ma ve ne consiglio fortemente la visione.

 

Anche quest’anno nell'anniversario della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 la politica ha dato il peggio di sé. Sul mio sito trovate una mia riflessione che non si sofferma tanto sul “chi” ma sul “perché” di quella strage. E non solo di quella strage.
 

Mi sembra sia tutto. 

 

Auguro a tutti voi uno splendido mese di agosto in cui ricaricare energia e entusiasmo. 

 

E ricordate cosa diceva il Maestro Francesco De Gregori:
“Questa notte passerà senza farci del male. Questa notte passerà. O la faremo
passare”.


Un abbraccio,
Luigi.


 Per leggere il sito di Luigi Marattin


https://www.luigimarattin.it  





 


 

domenica 4 agosto 2024

La buona politica: l'unico vaccino per sconfiggere l'antipolitica di Paolo Razzuoli

In un tempo di imperante antipolitica, affermo che la politica è una delle attività umane più nobili e necessarie per la convivenza civile.

Naturalmente occorre intendersi bene sul senso della politica.

Per questo chiedo soccorso all'etimologia: il termine "politica" deriva dal greco classico ed è costituito da due parole: "Polis", la città stato, e "techne",

tecnica o arte. Quindi la politica è l'arte - o la tecnica - di amministrazione della Polis, insomma dello Stato.

Quindi un'attività fondamentale per la convivenza civile, senza la quale nessuna comunità potrebbe vivere in modo armonico ed ordinato. Tanto meno la nostra,

stante le complessità delle società contemporanee.

Infatti Pericle definisce la politica «l'arte di vivere assieme».

Ed Aristotele: politica" significa l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, la determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini

partecipano".

 

Se poi sia più una scienza o un'arte, può incuriosire il giudizio di Otto Von Bismarck: "La politica non è una scienza, come molti signori professori s'immaginano,

ma un'arte."

Ma allora perché oggi è così diffuso il rifiuto della politica?

La risposta va ben articolata per evitare populistiche generalizzazioni. Ma certo, nel tempo che viviamo, in Italia ma non solo, credo sia assai palpabile

un processo degenerativo della politica che ha progressivamente allontanato la gente da essa, ma non solo, ha creato una diffidenza ed un rigetto, nel

quale si è progressivamente inoculato il virus del populismo e del sovranismo, estremamente pericolosi per la tenuta delle istituzioni di democrazia rappresentativa.

Dicevo non solo in Italia, anche se solo di essa mi occupo in queste mie riflessioni.

Pur non intendendo in alcun modo affrontare il tema della storia della politica, non può sfuggire che processi di degenerazione di essa sono riscontrabili

sin dai tempi più antichi: Basti pensare alla storia ateniese, che pur della democrazia è stata la culla, ed agli scritti di Tucilide che ne denunciano

la degenerazione.

Inoltre vanno considerate le profonde differenze fra l'esercizio della politica in un sistema autoritario, rispetto al sistema democratico: insomma il

Principe di Machiavelli è tratteggiato in uno scenario totalmente diverso da quello in cui opera un politico in una moderna democrazia liberale quale è,

salvo varie storture, quella italiana.

Se all'uscita dalla seconda guerra mondiale la politica godeva di una forte fiducia, attestata anche dall'elevatissima partecipazione al voto, con il trascorrere

dei decenni questa fiducia si è affievolita, sino a raggiungere gli attuali livelli di guardia. Questa progressiva sfiducia è anche rintracciabile in frasi

di figure celebri:

Enrico Berlinguer: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela.”

Dario Fo: "Come esistono oratori balbuzienti, umoristi tristi, parrucchieri calvi, potrebbero esistere benissimo anche dei politici onesti."

Roberto Gervaso: "Buon politico è chi sa mentire; grande politico chi finisce col credere alle proprie menzogne."

Ma una idea di politica molto disinvolta non è certo soltanto un fenomeno dell'oggi. Ne fa fede questa frase di Otto Von Bismarck: "Non si mente mai così

tanto prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia."

Ma riprendendo il filo del discorso, quali sono i principali tratti della degenerazione politica dell'oggi?

Anzitutto una classe politica sempre più interessata ad autoconservarsi anziché essere realmente rappresentativa dell'elettorato. Per ragioni ben note,

l'elettorato è stato privato della possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Ormai da decenni, la scelta della classe politica, soprattutto a livello

parlamentare ma non solo, viene fatta da strettissime consorterie di partito, anch'esse prive di una legittimazione dal basso. Infatti, i partiti si sono

progressivamente trasformati in entità leaderistiche, in cui il coinvolgimento della base o non esiste, o laddove esiste è poco più che un vuoto rituale.

In secondo luogo la politica si sta rivelando sempre più incapace di affrontare le sfide della contemporaneità, quali la globalizzazione, le migrazioni,

l'innovazione tecnologica e digitale, i cambiamenti climatici. Partendo dal presupposto che ciò che importa è la raccolta del consenso, all'elettorato

si cerca di dire ciò che esso si vuol sentir dire, anche dando sfogo alle peggiori pulsioni populiste, quindi di pancia più che di testa. Pulsioni che

nei social trovano un formidabile strumento di diffusione, e nel basso livello culturale dell'elettorato il più fertile terreno di coltura. E' ovvio che,

posto che poi le promesse si rivelano irrealistiche, la sfiducia ed il rigetto risulteranno conseguenti.

A proposito della vacuità delle promesse dei politici, voglio riportare una citazione attribuita al leader sovietico Nikita Chrušcëv: "Gli uomini politici

sono uguali dappertutto. Promettono di costruire un ponte anche dove non c’è un fiume."

Chi ha i capelli grigi come me, e ricorda Cruscev, fa un po' fatica ad attribuirgli questa frase; l'ho trovata su Internet e mi è sembrata utile riportarla.

E ancora, i politici sembrano più interessati alle "mosse" per assicurarsi ruoli personali, anziché mettere in primo piano l'impegno per la soluzione dei

problemi dell'agenda politica. Un conto è la "Politica" e altra cosa è il gioco politico. Si ha la netta sensazione che prevalgano, nelle loro scelte,

questioni di ruoli e di posizionamento personale, appunto di gioco politico, in luogo della coerenza di visione politica e di lavoro serio e costante per

l'individuazione delle soluzioni ai problemi.

Intendiamoci bene, come tutte le attività umane, anche la politica ha i suoi strumenti e le sue strategie. La ricerca del potere, quando è considerato lo

strumento per il concreto agire, è deltutto legittimo. Il potere è necessario poiché solo attraverso di esso, è possibile il possesso degli strumenti per

incidere realmente sulle scelte. Quindi il problema non è la ricerca del potere, bensì l'uso che ne viene fatto. Se il potere è finalizzato alla realizzazione

di un progetto politico, è deltutto legittimo che lo si cerchi; se il potere è invece asservito ad interessi di carriera personale, allora è un altro paio

di maniche.

Oggi è sempre più dominante l'impressione che il potere rappresenti uno strumento di conservazione di ruoli e posizioni personali; non stupisce quindi

il rifiuto sempre crescente che serpeggia fra la gente.

Naturalmente voglio tenermi distante da qualsiasi generalizzazione; ma il sentire della gente è questo e, al di là delle buone intenzioni, non sembra ci

sia una autentica presa di coscienza della situazione.

Una sfiducia che si traduce in una crescente astensione dal voto che, alle ultime elezioni europee, ha superato il 50% degli elettori. E' un dato pericoloso,

stante l'affanno in cui si muovono le democrazie liberal-rappresentative; la democrazia va presidiata con la partecipazione; la sua caduta non fa che accrescere

i rischi di una sua involuzione.

Un altro pericoloso dato della crisi è l'assunto populista secondo cui "uno vale uno". In questi decenni, di progressiva accentuazione di pulsioni antipolitiche,

si è demonizzato il professionismo politico. Niente di più falso: la politica è un'attività estremamente impegnativa che richiede studio, costanza, capacità,

sacrificio. Va nettamente distinta la ricerca di ruoli politici quali mezzi di sussistenza, da un professionismo fatto di studio, di lavoro, di impegno

nelle varie sedi in cui la politica viene esercitata.

Va smentita insomma questa frase qualunquista che su Internet ho trovata attribuita a Roberto Benigni: "La politica è l’unico mestiere dove non è richiesto

saper fare niente."

Utile la distinzione di Max Weber: "Ci sono due modi di fare il politico: si può vivere “per” la politica oppure si può vivere “della” politica."

E ancora il grande sociologo tedesco: "la politica non è che aspirazione al potere e monopolio legittimo dell'uso della forza e, per questo, richiede l'operato

di appositi professionisti"

Ed infine l'altro assunto populista che pretende di contrapporre una società sana ad una classe politica corrotta (la casta appunto). Niente di più fuorviante.

Sostanzialmente, ogni società ha la politica ed il governo che si merita. Attribuire l'intera responsabilità agli altri è il classico mezzuccio italiano

per sottrarsi dalle proprie responsabilità. Montanelli sagacemente ha scritto: "L’Italia ha la classe politica che si merita. Siamo sicuri che ne troveremmo

di migliori? E se ne trovassimo, che cosa, quale “popolo” rappresenterebbero?"

ho molto indugiato sulla "cattiva politica" giacché, credo, che sia lì che vadano ricercate le principali cause dell'imperante "antipolitica". Credo che

il rigetto della politica possa essere combattuto con un unico vaccino: la "Buona Politica". E mi rendo ben conto che l'inversione di tendenza non è semplice,

poiché richiede la messa in discussione di atteggiamenti e criteri fortemente consolidati.

Tanto difficile che, quasi sempre, si pone l'accento su aspetti secondari dei problemi, in mancanza del coraggio e della determinazione necessari per affrontarne

i tratti salienti.

Altra tentazione è quella di ritenere che i problemi risiedano solo nell'inadeguatezza della nostra architettura istituzionale.

Posto che sono deltutto favorevole a riforme istituzionali fatte con criterio e rispondenti ad obiettivi ben individuati, pongo l'accento sulla necessità

di distinguere con chiarezza i temi istituzionali da quelli della qualità della politica.

Le due traiettorie sono complementari e sarebbe illusorio pensare che problemi tanto complessi possano essere risolti con scorciatoie istituzionali, peggio

ancora se immaginate per ridurre il ruolo di fondamentali istituzioni della democrazia rappresentativa.

In un mio articolo, intitolato "Obiettivo Democrazia governante: Qualità della politica e riforme istituzionali", pubblicato su Fucinaidee nel 2023, ho

cercato di approfondire questi temi. Correlato a questo contributo allego il testo di quelle riflessioni.

Quindi rapidamente, quali possono essere le traiettorie di una nuova "Buona Politica"?

Ridare rappresentatività alla classe politica ripristinando meccanismi di reale scelta da parte dell'elettorato;

Individuazione di un personale politico adeguato, anche professionalmente, sapendo che ciò implica anche il riconoscimento di un adeguato compenso;

Ed ancora, scelta di un personale politico che sappia sottrarsi alla "dittatura del presente" dei sondaggi, e che sappia immaginare una prospettiva di

ampi orizzonti per le sfide della contemporaneità;

ed infine, scelta di un personale politico che sappia far buon uso del potere (è da animelle candide demonizzare l'esercizio del potere), utilizzandolo

non quale strumento di sistemazione personale, ma quale mezzo necessario per dare concretezza alla propria visione politica.

Poche parole sui partiti, che pur sono uno strumento fondamentale per l'esercizio della democrazia: superamento degli attuali partiti leaderistici, tornando,

se pur con le diversità implicite nelle trasformazioni dei tempi, a forze organizzate attorno a leader e non a padroni legittimati dalla base degli iscritti,

che sappiano riprendere il loro ruolo di strutture intermedie fra società ed istituzioni, e che riprendano anche il ruolo di fucine per la formazione della

classe dirigente.

E' questa una illusoria utopia?

Può anche darsi, ma credo che questa rappresenti l'unica strada per sconfiggere seriamente le tossine ammorbanti dell'antipolitica.

Credo che l'unico vaccino utile sia quello della "Buona Politica". E' una sfida gigantesca che attende la politica italiana, e non solo quella. Oggi le

democrazie occidentali sono minacciate sia sul fronte esterno che su quello interno: quest'ultimo, le pulsioni populiste e antipolitiche, forse ancor più

minaccioso dei fattori esterni.

Vedremo quale china prenderanno gli eventi!!!

 

Documento correlato

 

Obiettivo Democrazia governante: riforme istituzionali e qualità della politica

di Paolo Razzuoli

 

Lucca, 2 agosto 2024