Il pesante debito pubblico italiano non è un dato recente.
Ho controllato le dichiarazioni programmatiche rese al Parlamento all'atto
della richiesta di
Fiducia di molti dei tanti Presidenti del Consiglio che si
sono succeduti dagli anni '80
in poi, e tutti hanno posto l'accento sulla necessità di
ridurre
il fardello del debito pubblico. Salvo poi, soprattutto in
alcuni casi, aver fatto una politica che proprio su fattori di ampliamento di
tale debito ancorava
la ricerca del consenso elettorale.
Ciò soprattutto a partire dagli anni '80, allorché venendo
sempre meno l'adesione ideale ai partiti, che già davano segnali di avvitamento
in una spirale
di decadenza che li condurrà all'implosione, il consenso è
stato sempre più ricercato mediante l'elargizione di sussidi, prebende e
privilegi.
Un trend interrotto solo dai cosiddetti "Governi
tecnici", una anomalia tutta italiana, a cui si è fatto ricorso in alcuni
momenti in cui l'acuirsi della
crisi della politica non ha consentito di fronteggiare
situazioni di particolare gravità emergenziale come, ad esempio, al momento
dell'insediamento del
Governo Monti nell'autunno del 2011.
E per fortuna sono intervenuti i vincoli europei, che hanno
costretto a contenere il disavanzo entro certi parametri. Non credo di dire una
sciocchezza,
affermando che senza tali vincoli la politica avrebbe con
ogni probabilità fatto peggio...
Aggiungo che la Riforma del quadro di revisione della spesa
pubblica ("spending review") costituisce una delle riforme previste
dal Piano Nazionale di
Ripresa e Resilienza (PNRR).
E' infatti dalla politica che credo si debba partire per
cercare di rispondere alla domanda fondamentale: perché, nonostante che a
parole ci sia piena consapevolezza
del problema, nessuno finora è riuscito a mettere in campo
vere strategie di contenimento del debito?
Ebbene, credo che la risposta possa essere trovata nella
incapacità della politica di possedere quella autorevolezza e quella forza
senza le quali non
si può immaginare di affrontare un tema così complesso, così
impattante su molti e diffusi interessi, sempre pronti ad erigere argini a
qualsiasi ipotesi
che tali interessi possa ridimensionare.
Interessi che, puntualmente, trovano sempre gli strumenti
per bloccare qualsiasi seria riforma, ricattando una politica sempre più
avvitata nella ricerca
del consenso immediato, in barba ad una visione di lungo
orizzonte, che invece costituisce il vero banco di prova di una classe politica
che sappia guardare
alle prossime generazioni e non esclusivamente alle prossime
elezioni.
Al di là delle semplificazioni e degli slogan, ridurre il
disavanzo del bilancio pubblico non è certo operazione facile.
Come di tutta evidenza - posto che il deficit viene valutato
in rapporto al Pil - occorre intervenire su due versanti, entrambi attualmente
critici: quello
della crescita, quindi della competitività del sistema Paese
da un lato, e quello di una seria e non superficiale analisi dei fattori
distorsivi di spesa
dall'altro.
Versanti che richiedono una forte azione riformatrice, che
solo una politica credibile, forte e sufficientemente coesa può far accettare
all'opinione pubblica.
E' veramente molto arduo pensare che una politica sempre
pronta a strumentalizzare tutto per ragioni di consenso, trasformando anche i
problemi più seri
in un teatro di marionette, possa far fronte ad un impegno
gigantesco, imposto da una società estremamente frammentata, in cui si muovono
molteplici e
solidissimi interessi corporativi, fortemente conservatrice
e sempre pronta a reagire qualvolta qualcuno provi a mettere in discussione
l'attuale assetto.
A nessuno può sfuggire che ogni qualvolta qualcuno ha
cercato di compiere qualche azione di razionalizzazione, o un sindacato o un
comitato è sorto in
difesa degli interessi che si ritenevano lesi, così come
settori della politica sono sempre stati pronti a cavalcare la protesta, quando
ciò è stato ritenuto
utile per ragioni di bottega.
A scopo meramente esemplificativo, e non certo esaustivo,
indico alcuni ambiti di intervento per la riduzione della spesa: ambiti che si
tradurrebbero anche
in uno stimolo alla crescita ed alla competitività, dando
così senso a quello stretto intreccio sussistente fra questi due fattori.
1) Analisi costi-benefici. - Anzitutto occorre partire da
una seria volontà di indagare il rapporto costi-benefici, partendo dal
presupposto che un importante
salto di qualità dei servizi potrà essere ottenuto anzitutto
cercando di "spendere bene" e non, come da certi settori di pensiero
sembra credersi, spendendo
sempre "di più".
2) Semplificazioni procedurali. - In Italia le procedure,
sia per le persone che per le imprese, sono particolarmente gravose; una loro
semplificazione
porterebbe benefici per tutti, e comporterebbe minor costi
per l'apparato pubblico. Un fattore di efficientamento della P.A. potrebbe
essere prodotto da
una massiccia estensione del principio del silenzio-assenso,
e da una radicale semplificazione degli strumenti di giurisdizione civile ed
amministrativa.
3 Invasività e costo della burocrazia. - In Italia
l'intervento pubblico risulta particolarmente invasivo, e si esplica in una
enorme ed abnorme quantità
di lacci e lacciuoli. Inoltre la burocrazia è costosa ed
inefficiente, essendo anche progressivamente stato eliminato qualsiasi criterio
meritocratico
nella valutazione delle performances.
4) Va tutelata la spesa sociale. - Quando si parla di debito
pubblico, si citano sempre i pensionati, la spesa sociale e quella sanitaria.
Ebbene, il tema
vero è quello dell'individuazione degli elementi distortivi
di spesa in questi ambiti, non certo di un loro taglio indiscriminato,
soprattutto pensando
agli scenari con cui dovranno confrontarsi le prossime
generazioni. La tutela della coesione sociale è infatti un valore primario di
una società giusta,
ordinata ed ispirata ai valori della nostra civiltà.
5) Costi degli apparati pubblici. - Un settore su cui è
sicuramente possibile intervenire è quello dei costi diretti ed indiretti della
politica e, più
in genere, degli enti pubblici. Al di là di incomprensibili
privilegi assegnati ad alcune categorie (esempio personale delle Camere, del
Quirinale, della
Banca d'Italia, della Corte deiConti o della Corte
Costituzionale), vanno ricordati gli enormi costi per le consulenze, per i vari
consigli di amministrazione
delle partecipate a livello locale, per i costi del
complesso degli enti pubblici (non serve elencarli), che potrebbero essere
ridimensionati mediante
una loro razionalizzazione. Insomma, c'è un ampio parterre
di enti inutili che o andrebbero soppressi o quantomeno razionalizzati.
6) Costo delle opere pubbliche. - In Italia il costo delle
opere pubbliche risulta mediamente superiore a quello degli altri Paesi UE.
Normalmente si parte
con una previsione, che poi - puntualmente - risulta sempre
sforata. Evidentemente c'è qualcosa che non funziona, o nella capacità di
lavoro della Pubblica
Amministrazione, o in una legislazione che consente di fare
furbate. Comunque sia, è un ambito su cui occorre intervenire. E qui ribadisco
il tema della
qualità della dirigenza, che deve rispondere a criteri
meritocratici e non a fattori di appartenenza politica.
Si potrebbe andare ulteriormente avanti, ma non credo che
ciò risulti utile. Ciò che invece mi pare debba essere ribadito è che, senza un
salto di qualità
della politica, l'obiettivo di riduzione della spesa
pubblica risulterà illusorio. Almeno sino a quando, eventuali situazioni
traumatiche, non impongano
scelte draconiane. un contesto questo non certo auspicabile
giacché, nelle situazioni di emergenza, finiscono sempre per prevalere gli
interessi dei più
forti...
Ho trattato il tema della riduzione della spesa, senza
affrontare sinora quello della riduzione della pressione fiscale. E' chiaro
che, al netto dalla demagogia,
i due temi sono intrecciati: senza la riduzione della spesa
pubblica, mai si potrà affrontare quello della riduzione della pressione
fiscale.
Tema spinoso, anche perché in Italia, accanto ai cittadini
onesti che di tasse ne pagano troppe, c'è una ampia fascia di cittadini che di
tasse ne pagano
poche rispetto ai loro redditi.
Ad ogni approvazione del bilancio dello Stato (un tempo si
chiamava Finanziaria) riemerge, come un fiume carsico, il tema della lotta
all'evasione fiscale.
Pur non essendo un esperto di politiche fiscali, Mi pare che
vada auspicata una riforma basata sul contrasto di interessi fra il cittadino
ed il prestatore
d'opera, unico mezzo per ridurre al minimo l'evasione
fiscale.
Spero di essere riuscito ad illustrare la mia tesi secondo
cui, "meno spesa meno tasse" è anzitutto un problema di qualità e di
autorevolezza della politica, una "precondizione" a monte, senza cui
questo - come tanti altri nodi che attendono di essere sciolti - rimarranno
irrisolti.
In questa prospettiva, il titanico progetto di creazione di
una forza liberal-riformista di cui Orizzonti Liberali è uno step unitamente ad
altre esperienze,
va nella direzione giusta.
L'affermazione di un soggetto ispirato ai valori ed alla
prassi politica del liberal-riformismo sarebbe un fattore di stabilizzazione e
crescita del sistema
Paese, sia per la sua storia e tradizione
politico-culturale, sia per l'equilibrio di cui in ogni circostanza ha dato
prova.
E' un'impresa difficilissima, a cui augurare la riuscita.
Sarebbe un bene per il nostro "Sistema Paese".
Lucca, 30 settembre
2024