"Anno bisesto anno funesto". Raramente un detto popolare ha colto nel segno come per il 2024 che, viene da dire, "meno male che è finito". Un anno difficile,
che non ha visto soluzioni
per nessuna delle crisi che ha ereditato dal precedente (conflitto
Russia-Ucraina e crisi Medio Orientale), ma che ci ha riservato
anche tanti eventi estremi
sul fronte climatico e, tanto per non smentirsi, si chiude con il grave
incidente aereo accaduto in Corea. Sul finire ci ha
poi riservato la sorpresa
della caduta di Hassad in Siria: vedremo come si evolverà la situazione in quel
Paese, anche se, purtroppo i precedenti ce lo
insegnano, in quell'area la
caduta dei dittatori viene seguita da complessi periodi di instabilità.
E rimanendo in quell'area, il
2024 si conclude con un altro fatto molto grave: l'arresto e la detenzione in
Iran della giornalista Cecilia Sala. Una situazione
sicuramente molto complessa
che, speriamo, possa risolversi al più presto.
Venendo alle cose politiche
di casa nostra, penso che la novità più interessante sia il tentativo di
riaggregazione di un polo liberal-riformista, dopo
l'irresponsabile scelta di
andare divisi alle europee. Argomento su cui tornerò: speriamo che almeno su
questo versante, il 2024 lasci un po' di buona
eredità.
Ma entriamo un po' più nel dettaglio dei vari scenari.
Se il 2024 è stato un anno di
profondi cambiamenti, alcuni attesi – come le elezioni europee e americane – e
altri del tutto imprevisti, come il collasso
del regime di Assad in Siria,
il 2025 si annuncia come l’anno in cui i grandi attori mondiali saranno
chiamati alla prova dei fatti. A trasformare insomma
piani, promesse e ambizioni in azioni concrete.
In Europa, il 2025 sarà la
prova dei fatti innanzitutto per la nuova Commissione europea. La riconferma di
Ursula von der Leyen, è avvenuta in un quadro
in cui la maggioranza che la
sostiene è più fragile e meno coesa, proprio mentre le sfide che dovrà
affrontare l’Europa crescono e si fanno sempre più
pressanti. I prezzi
dell’energia oggi sono tre volte più alti che negli Stati Uniti, la produzione
industriale dei grandi paesi europei ha accelerato il
suo (apparentemente
inesorabile) declino, e i rapporti con gli Stati Uniti di Trump si
preannunciano molto più tesi.
Non che manchino i piani
(vedi il piano Draghi sulla concorrenza); ma occorrono risorse, che
difficilmente potranno essere trovate in contesti politici
molto fragili.
Proprio qui emergono le
fragilità dei due principali “motori” europei, che di riforme strutturali
proprio non parlano. La Germania, che andrà al voto a
febbraio, deve fare i conti
con un sistema economico che non è più sostenibile: energia russa a basso costo
e esportazioni verso la Cina non si possono
più dare per scontate.
La Francia, invece, rischia
di rimanere politicamente bloccata a lungo: le elezioni anticipate della scorsa
estate e il divieto costituzionale di rivotare
entro un anno impediscono a
Macron di provare a sbloccare la situazione, e al governo francese di agire con
la forza necessaria per sanare i conti pubblici
e al contempo a trovare nuove
strade di crescita.
Situazioni certo diverse, ma
unite dal tratto comune di un quadro che non consente di affrontare le riforme
di cui l'Europa ha urgente necessità.
Ed ora andiamo dall’altra
parte dell’Atlantico dove il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, è una
realtà concreta. Anche in questo caso, però, la prova
dei fatti arriva adesso. Dal
20 gennaio Trump dovrà dimostrare che le sue promesse non sono state solo un
vociare indistinto ma di essere capace di dargli
concretezza. Dovrà scegliere
quali e quante provare a realizzare subito, anche nel caso in cui mercati e
opinione pubblica reagissero in maniera negativa.
Basta mettere in fila queste
promesse per afferrarne la portata dirompente: imporre nuovi dazi alla Cina, ma
minacciarli anche verso gli alleati (UE, Canada,
Messico); costringere i paesi
europei della NATO ad aumentare ancora le spese per la difesa; espellere
milioni di migranti irregolari; spingere la produzione
interna di petrolio e gas;
abbassare le tasse senza approfondire le già alte disuguaglianze; licenziare
decine di migliaia di dipendenti federali “alla
Milei”, semplificando norme e
regolamenti; imporre un maggiore controllo presidenziale sulle decisioni della
Fed sui tassi d’interesse.
Insomma, per l'Europa
potrebbero arrivare tempi ancor più difficili: se ne accorgeranno anche quelli
che hanno fatto e fanno l'occhiolino al nuovo inquilino
della Casa Bianca.
Il 2025 sarà l’anno della
verità anche per la Cina. Xi Jinping, dopo aver ottenuto un terzo mandato nel
2022, conserva l’ambizione di rendere il proprio
un paese “pienamente
sviluppato” entro il 2049, ma sa bene che al momento l’economia cinese è in
bilico. La crescita sta infatti rallentando (si scenderà
forse sotto il 5% l’anno nel 2025); un dato che sta generando una sfiducia dei cittadini che il governo fatica a dissipare.
Ma torniamo in Europa. Il
2025 sarà un anno cruciale per capire che ne sarà delle grandi crisi alle
nostre porte : quella in Ucraina e quelle (multiple
e incrociate) in Medio
Oriente. Ci sarà una fine, o quantomeno una pausa, in queste guerre? E quanto
queste sospensioni delle ostilità o de-escalation
saranno “giuste”? Quanto
onerose?
Interrogativi che tutti ci poniamo, sperando che le ragioni della politica possano prevalere sulla forza delle armi.
Venendo ai temi di casa
nostra, mi concentro sui movimenti che stanno interessando l'area
liberal-democratica: tema che ad alcuno potrà sembrare marginale,
ma a mio avviso non lo è,
posto che i suoi sviluppi potranno incidere sugli assetti ed equilibri di
quadro politico.
Sulla inadeguatezza
dell'attuale bipolarismo, o meglio "Bipopulismo", molto ho già
scritto per cui non penso serva indugiarvi.
L'insuccesso delle liste
diciamo "terzo poliste" alle elezioni europee non attesta certo la
mancanza di uno spazio politico per tale proposta. Anzi, tenuta
presente la situazione a dir
poco imbarazzante che ha preceduto la presentazione di quelle liste, il
risultato ottenuto è stato sin troppo generoso.
Dopo quel risultato c'è chi
ha fatto prevalere logiche di posizionamento personale, mentre altri hanno
imboccato la strada più difficile: quella di cercare
ancora una volta
l'aggregazione delle forze disponibili per la creazione di un nuovo soggetto di
ispirazione liberal-democratica.
LO scorso 23 e 24 novembre a
Milano, si è tenuto un interessante incontro fra tutte le forze disponibili a
percorrere questa strada: un incontro in cui
si è potuta ascoltare la voce
della politica vera, ed una forte volontà di coesione, pur nella consapevolezza
degli ostacoli da superare.
Sarebbe un bellissimo regalo
che il 2025 potrebbe fare al Paese, se potesse vedere la luce di questo
progetto politico a cui sono impegnate realtà quali
"Orizzonti
Liberali" di Luigi Marattin, i "Libdem" di Andrea Marcucci,
esponenti della "Fondazione Einaudi", "NOS" di Alessandro
Tommasi ed altri.
So bene dei fallimenti di cui
è irta questa strada; ma la storia ci insegna che certe cose diventano
possibili laddove un tempo non lo sono state. Quindi
la speranza è lecita, anche se la consapevolezza richiama la cautela.
Ovviamente ci sono tanti
altri temi su cui l'Italia dovrà interrogarsi; e dovrà farlo nella
consapevolezza che l'intero sistema Paese è chiamato ad un serio
sforzo di analisi e di
autocritica. Dovrà certamente interrogarsi la politica, da tempo ormai incapace
di dare risposte alle esigenze di cambiamento della
società, ma dovrà farlo altresì la società stessa, nel chiedere alla politica una capacità di visione e non soltanto il soddisfacimento di interessi corporativi.
Il Presidente della
Repubblica ne ha tracciata una foto molto dettagliata, nel suo messaggio di
auguri per il nuovo anno.
MI piace qui riportare le
ultime parole di quel messaggio: "Siamo chiamati a consolidare e
sviluppare le ragioni poste dalla Costituzione alla base della
comunità nazionale. È
un'impresa che si trasmette da una generazione all'altra. Perché la speranza
non può tradursi soltanto in attesa inoperosa. La speranza
siamo noi. Il nostro impegno.
La nostra libertà. Le nostre scelte."
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